Mi è sorto questo dubbio leggendo una intervista fatta dal settimanale “RIDARE” (edito dalla Giuffrè editore) al Consigliere Marco Rossetti (che stimo e seguo tantissimo sia come autore che come relatore nei tanti convegni che annualmente svolge sul territorio italiano) della quale si riporta uno stralcio:

“L’ attore ha l’onere di allegare sin dalla citazione le linee guida che si assumono violate dal medico?
Assolutamente sì, sebbene in un solo isolato caso la Corte di Cassazione abbia pronunciato la sentenza su questo punto come dire parzialmente extra vagans, l’onere di allegazione è un presupposto necessario per consentire al convenuto l’esercizio del diritto di difesa. Se l’attore non allega che in cosa il medico ha sbagliato, il medico non può essere posto in condizione di sollevare le proprie eccezioni e le proprie difese, né del resto posto in condizione di sapere se l’attore ha ragione quindi, come dire, se accondiscendere, accogliere, adempiere la propria obbligazione. Osservare l’onere di allegazione vuol dire che l’attore deve dire quale è stato l’errore commesso dal medico senza tecnicismi, senza particolari approfondimenti teorici ma deve spiegare se il medico ha sbagliato nel porre la diagnosi, nell’eseguire l’intervento, nell’assistere il paziente nel decorso post operatorio e via dicendo”.

Si condivide pienamente il fatto che “l’onere di allegazione è un presupposto necessario per consentire al convenuto l’esercizio del diritto di difesa” , ma mi domando come può dire il paziente dove ha sbagliato il medico?

Chi è questo paziente così tecnico da provare questo fatto che non rientra nella sua cultura di paziente (spesso neanche se medico)?

Non si ritiene che provare senza tecnicismi quale sia stato l’errore del medico sia compito facile per alcuno, né si può presupporre sia semplice per il paziente stabilire che il medico abbia sbagliato la diagnosi o l’intervento chirurgico.

Si presuppone che il Consigliere volesse affermare che il paziente deve “presupporre” che il medico abbia sbagliato in quanto non è stato raggiunto l’esito atteso e che la conseguenza inaspettata sia in nesso causale con l’atto medico. Se così non fosse si affermerebbe che tutta la responsabilità medica sia di natura extracontrattuale e che quindi la prova dell’errore ricade sempre sul paziente!

Allora sorge spontanea l’affermazione: e la vicinanza della prova chi la ha, il medico o il paziente?

Se è vero (com’è vero) che il paziente ha l’onere di provare il contratto, il maggior danno e il nesso di causa tra atto medico e conseguenze lamentate e il convenuto medico/struttura di dimostrare che il danno conseguenza non è in nesso causale col suo operato, che significa che “l’attore deve dire quale è stato l’errore commesso dal medico senza tecnicismi…”?

Questo ragionamento presuppone alla base la necessaria presenza di uno staff medico legale di parte attrice che “tecnicamente” affermi quale siano gli errori commessi dal medico.

E se il paziente non si potesse permettere una difesa tecnica, ma può provare il contratto, il maggior danno e il nesso causale come farebbe a far valere il proprio diritto?

Ma anche se l’attore potesse permettersi questo lusso sarà mai capace a trovare medici specialisti adeguati? Se una responsabilità dei medici e/o della struttura esiste ma non è bene intercettata dal medico legale di parte attrice mentre lo è dal CTU nominato (ossia il ctu evidenzia una malpractice diversa da quella proposta dal ctp) il paziente potrà accedere al risarcimento? Ossia conviene (ove si fosse capaci di farlo!) qualificare adeguatamente l’inadempimento quando si rischia di vedersi rigettata la domanda anche se i medici hanno sbagliato?

Allora, di chi è l’onere di provare quanto necessario per accedere ad una “giusta giustizia”?

Esiste una procedura idonea a tutelare gli interessi dei cittadini danneggiati o dei medici accusati spesso ingiustamente?

Certo non sarà una mediazione a risolvere tutto (fatto già sperimentato da qualche anno)!

Ecco qui che il legislatore nel prevedere come obbligatoria una Consulenza tecnica Preventiva (art. 696bis c.p.c.) non può che avere ragione e questo per il sol motivo che la prova, in tema di responsabilità medica, si raggiunge solo dopo una consulenza tecnica e, quindi, tutto il resto del chiacchierio sentito negli ultimi mesi diventa superfluo.

Inoltre il concetto, pur se condivisibile, che “l’onere di allegazione è un presupposto necessario per consentire al convenuto l’esercizio del diritto di difesa e…di adempiere la propria obbligazione” non trova riscontri pratici in quanto i convenuti direbbero sempre il contrario anche a fronte di una intera sala operatoria lasciata nell’addome di un paziente.

Dunque a parere dello scrivente la saggia giurisprudenza consolidata dell’ultimo ventennio sui concetti di vicinanza della prova, del contatto sociale, della presunzione di colpa per i sanitari che non compilano adeguatamente le cartelle, etc etc, non può essere stravolta più di tanto in quanto la parte debole del rapporto medico-paziente (ossia il paziente!) …diventerebbe sempre più debole tanto da soccombere sempre anche quando ciò non dovrebbe accadere.

Dr. Carmelo Galipò
(Pres. Accademia della Medicina Legale)

Assistenza Medico Legale
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