Una sentenza della Corte di Cassazione ha fornito ulteriori e importanti precisazioni in merito al consenso informato e alla sua violazione

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 16503 depositata il 5 luglio 2017 ha ribadito che l’obbligo del consenso informato rappresenta la legittimazione e il fondamento del trattamento sanitario il quale, ove esso manchi, è sicuramente illecito, anche se posto in essere nell’interesse del paziente.

I fatti.

Una donna lamentando il fatto che le siano derivate lesioni a seguito di un intervento chirurgico emilanectomia parziale, erniectomia e foratominotomia per tentativo di risoluzione di lombosciatalgia destra, cita in giudizio l’Azienda Ospedaliera , dove l’intervento era stato effettuato, nonché il medico, che lo aveva eseguito, chiedendo il risarcimento del danno iatrogeno e di quello derivatole dal non essere stata adeguatamente informata circa la natura e le conseguenze dell’intervento.
Il giudice di primo grado respinge le domande attoree e la Corte territoriale escludendo la responsabilità in relazione all’intervento in sé considerato per essere stato eseguito a regola d’arte nonostante l’esito non favorevole per il paziente, ha accolto parzialmente il gravame, ritenendo fondata soltanto la seconda domanda della paziente e liquidando in suo favore, a carico dell’Azienda Ospedaliera e del medico, la somma di Euro 30.000,00 onnicomprensivi.
La donna ricorre per cassazione affidandosi a due motivi e resistono con controricorso l’Azienda Ospedaliera e il medico.

La valutazione della non completezza o non adeguatezza del consenso informato.

Gli Ermellini osservano preliminarmente che la valutazione della non completezza o non adeguatezza delle informazioni in concreto somministrate alla paziente prima dell’intervento, impinge in un apprezzamento di merito, sottratto a verifica nella presente sede di legittimità, a maggior ragione dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (cfr. Cass. Sez. U. nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014), rimanendo comunque gli apprezzamenti di fatto se scevri, come lo sono nella specie, da quei soli ed evidenti vizi logici o giuridici ammessi dalle or ora richiamate pronunzie delle Sezioni Unite – istituzionalmente riservati al giudice del merito (cfr. Cass. Sez. Un., n. 20412 del 2015).

L’onere della prova dell’inadempimento dell’obbligo informativo

Per la Cassazione non è corretta la tesi dei ricorrenti incidentali per la quale l’inadempimento dell’obbligo informativo si avrebbe solo in caso di allegazione e prova, da parte del paziente, di un suo probabile rifiuto all’intervento in caso di avvenuta adeguata informazione, sottolineando la natura contrattuale dell’obbligo gravante sul sanitario e quindi la sufficienza dell’allegazione dell’inadempimento da parte del paziente-creditore come la Corte ha già avuto modo di affermare (cfr. Cass. 13.02.2015, n. 2854): l’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario, senza il quale l’intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente (Cass. 16.10.2007, n. 21748); pertanto, ai sensi dell’art. 32 Cost., comma 2, per il quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, dell’art. 13 Cost., che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica e della L. n. 833 del 1978, art. 33, che esclude la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p., un tale obbligo è a carico del sanitario, che, una volta richiesto dal paziente dell’esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso.
Tale obbligo attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto ed in particolare al possibile verificarsi, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso (Cass. 13.04.2007, n. 8826; Cass. 30.07.2004, n. 14638), di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, onde porre quest’ultimo in condizione di consapevolmente consentire al trattamento sanitario prospettatogli (Cass. 14.03.2006, n. 5444).

La rilevanza autonoma dell’acquisizione del consenso ai fini della responsabilità.

Il medico ha quindi il dovere di informare il paziente circa la natura dell’intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili e l’acquisizione da parte dello stesso del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente (cfr. Cass., 16.05.2013, n. 11950).
Gli Ermellini sottolineano che ci troviamo dinanzi a due diritti distinti (Cass. 6.06.2014, n. 12830): a) il consenso informato attenendo al diritto fondamentale della persona all’espressione della con- sapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (Corte Cost., n. 438 del 2008) e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge

  1. b) il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (cfr. art. 32 Cost., comma 1).

I principi generali in tema di consenso informato

La Corte ribadisce che il diritto ad essere correttamente informati al fine di potere esprimere un consenso al trattamento sanitario sulla propria persona va attentamente ricostruito alla stregua dei principi generali già affermati a partire da Cass. Sez. U. 11.11.2008, n. 26972 : la lesione del diritto ad esprimere il c.d. consenso informato da parte del medico si verifica per il sol fatto che egli tenga una condotta che lo porta al compimento sulla persona del paziente di atti medici senza avere acquisito il suo consenso; il c.d. danno evento cagionato da tale condotta è rappresentato dallo stesso estrinsecarsi dell’intervento sulla persona del paziente senza la previa acquisizione del consenso, cioè, per restare al caso dell’intervento chirurgico, dall’esecuzione senza tale consenso dell’intervento sul corpo del paziente; danno-evento in questione che risulta, dunque, dalla tenuta di una condotta omissiva seguita da una condotta commissiva; il danno conseguenza (quello che l’art. 1223 c.c., indica come perdita o mancato guadagno) è, invece, rappresentato dall’effetto pregiudizievole che la mancata acquisizione del consenso e, quindi, il comportamento omissivo del medico, seguito dal comportamento positivo di esecuzione dell’intervento, ha potuto determinare sulla sfera della persona del paziente, considerata nella sua rilevanza di condizione psico-fisica posseduta prima dell’intervento, la quale, se le in formazioni fossero state date, l’avrebbe portata a decidere sul se assentire la pratica medica, vale a dire: a) dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente, patite dal paziente in ragione dello svolgimento sulla sua persona dell’esecuzione dell’intervento durante la sua esecuzione e nella relativa convalescenza; b) eventualmente, dalla diminuzione che lo stato del paziente subisce a livello fisico per effetto dell’attività demolitoria, che abbia eventualmente eliminato, sebbene a fini terapeutici, parti del corpo o le funzionalità di esse: poiché tale diminuzione avrebbe potuto verificarsi solo se assentita sulla base dell’informazione dovuta e si è verificata in mancanza di essa, si tratta di conseguenza oggettivamente dannosa, che si deve apprezzare come danno conseguenza indipendentemente dalla sua utilità rispetto al bene della salute del paziente, che è bene diverso dal diritto di autodeterminarsi rispetto alla propria persona, ancorché in modo di riflesso incidente sul bene della salute; c) se del caso, con riferimento alla possibilità che, se il consenso fosse stato richiesto, la facoltà di autodeterminazione avrebbe potuto indirizzarsi nel rivolgersi per l’intervento medico altrove, qualora si riveli che sarebbe stata possibile in relazione alla patologia l’esecuzione di altro inter- vento vuoi meno demolitorio vuoi anche solo determinativo di minore sofferenza, si verifica an- che un danno conseguenza rappresentato da vera e propria perdita, questa volta relativa proprio ad aspetti della salute del paziente.
In tale contesto, deve ritenersi che il paziente, che invochi, dispiegando la relativa domanda risarcitoria, l’incompletezza del consenso informato e quindi l’inadempimento del correlativo obbligo dei sanitari di somministrargli le informazioni necessarie per formarlo, alleghi implicitamente il danno a quella sua libera e consapevole autodeterminazione che, in base a quanto accade normalmente e per riferirsi la lesione ad un diritto personalissimo e relativo alla sfera interna del danneggiato si ricollega quale conseguenza ineliminabile alla carenza di un quadro informativo completo e ben compreso o spiegato a chi dovrebbe valutarlo come base di una responsabile decisione.

La decisione della Cassazione

Secondo gli Ermellini la paziente, nel caso de quo, non avrebbe avuto altro onere, che allegare e provare l’incompletezza od inadeguatezza dell’informazione ricevuta prima di sottoporsi alla rischiosa operazione per allegare e addurre la prova, sulla base di presunzioni se non perfino di quanto accade secondo criteri di normalità, dei danni conseguenza almeno correlati alla lesione della sua libertà di autodeterminazione, fermo restando solo che tale specifica lesione non corrisponde mai, attesa l’ontologica diversità tra i due diritti lesi, quello all’autodeterminazione e quello all’integrità psicofisica, al danno a quest’ultima in quanto tale (cfr.: Cass. 2854 del 2015), quasi consentendo una sorta di automatico recupero, per tale via, dell’esito infausto per il paziente di un intervento chirurgico pure correttamente eseguito.

Avv. Maria Teresa De Luca

 
 
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