Prosegue la caccia al vaccino per fermare l’infezione del virus Zika mentre si prosegue con la catalogazione sempre più precisa dei danni provocati nei feti.

Sono infatti stati fotografati i cambiamenti nel cervello osservati nei bebè e nei feti colpiti dall’infezione. Due diversi team di ricercatori – uno in Brasile e l’altro in America – stanno lavorando per aggiungere nuovi pezzi a questo puzzle.
L’autrice principale del lavoro Fernanda Tovar-Moll, vice presidente del D’Or Institute for Research and Education e docente della Federal University di Rio de Janeiro spiega che l’imaging “è essenziale per identificare la presenza e la gravità dei cambiamenti strutturali indotti dall’infezione, specialmente nel sistema nervoso centrale.”

La stessa importanza la riveste la ricerca in un potenziale vaccino, a opera degli studiosi dei National Institutes of Health. Il gruppo ha infatti clonato un ceppo epidemico del virus, creando un modello che può essere di aiuto ai biologi a sviluppare e provare strategie per arrestare l’infezione. Un clone che – stando a quanto apparso sulla rivista mBio – si è replicato con successo in molteplici linee cellulari, tra cui cellule placentari e cerebrali, tessuti particolarmente vulnerabili ai danni da Zika.

“Il nostro obiettivo è quello di creare un’immunità a lungo termine dopo un breve vaccinazione” ha dichiarato il biologo molecolare del National Institute of Allergy and Infectious Diseases di Bethesda (Maryland) Alexander Pletnev che ha guidato questo studio. Il clone Zika sarà dunque utilizzato per lo sviluppo di un vaccino vivo, ma attenuato, simile a quelli utilizzati nell’uomo contro altri virus dannosi come la poliomielite, la febbre gialla e l’encefalite giapponese.

Lo studio è attualmente in corso sui topi ma Pletnev invita a usare il clone per usi che servano a bloccare l’infezione da Zika. L’esperto spiega infatti che è difficile capire come contrastare il virus in quanto ha un comportamento biologico imprevedibile.
Nella ricerca di Pletnev sono inclusi studiosi dell’University of Texas e della statunitense Food and Drug Administration che hanno concentrato la loro attività su un ceppo virale raccolto da un paziente febbrile contagiato in Brasile lo scorso anno.

Sul fronte delle immagini fotografiche la “microcefalia è solo una delle numerose caratteristiche radiologiche” spiega la Tovar-Moll. Numerosi i problemi legati al feto. Deborah Levine della Harvard Medical School di Boston e coautrice dello studio fotografico ha dichiarato che il virus pare essere più pericoloso quando viene trasmesso al bambino durante la gravidanza e soprattutto nei primi tre mesi è maggiore il rischio di difetti cerebrali gravi. Il cervello può svilupparsi poco (microcefalia) e si possono presentare problemi oculari, acustici o crescita ridotta oltre a una lunga serie di anomalie cerebrali dovute all’esposizione al virus. La carrellata di immagini raccolte aiuta dunque l’altro gruppo di studiosi che sono alla ricerca del vaccino.

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