È stato assolto il dirigente medico accusato di omessa denuncia di ben 253 casi di malattia professionale, nella specie, mesotelioma pleurico: per la Cassazione il fatto non sussiste

Nel 2016 il Tribunale di Gorizia assolveva dall’accusa di omessa denuncia di cui all’art. 361 c.p., un dirigente medico, direttore responsabile della struttura operativa di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro, “perché il fatto non costituisce reato”.

L’accusa era quella di omessa o ritardata segnalazione di almeno 253 casi di malattia professionale – soprattutto mesotelioma pleurico -, oltre quelle giacenti dal 2000 in archivio e altre per le quali vi era delega da parte della Procura della Repubblica di Gorizia, con conseguente grave ritardo per le indagini.

Osservava il Tribunale che, “ferma restando la materialità dei fatti, non era ravvisabile la consapevolezza e la volontarietà dell’omissione, quanto alla conoscenza del reale contenuto della notevole mole di faldoni archiviati in ufficio, e comunque l’omissione sarebbe stata ascrivibile, oltre alla mancanza di personale, anche all’erronea e incolpevole interpretazione del protocollo sottoscritto dal Procuratore  Generale di Trieste e dal Presidente della Giunta regionale, che rimetteva al prudente apprezzamento dei medici del lavoro la valutazione circa l’opportunità di procedere alle indagini, con particolare riguardo ai casi di mesotelioma o a malattie asbesto correlate”.

In secondo grado, la Corte d’appello di Trieste, in accoglimento del gravame proposto dal Pubblico Ministero, dichiarava l’imputato responsabile del reato ascrittogli e lo condannava alla pena di tre mesi di reclusione, oltre la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, sul rilievo del travisamento delle prove documentali acquisite dal primo giudice e dell’erronea valutazione della buona fede dell’imputato.

Come premesso le linee guida contenute nel suddetto protocollo prescrivevano al servizio di prevenzione e sicurezza sul lavoro, l’espresso obbligo di attivarsi immediatamente e prioritariamente per lo svolgimento della relativa attività ispettiva e per la raccolta di ogni informazione utile, coordinandosi ove opportuno con gli uffici della Procura della Repubblica.

Ebbene, la reiterata condotta omissiva dell’imputato, rispetto ai continui solleciti provenienti dalle autorità giudiziarie, integrava – ad avviso della corte – “una incuria così marcata da sconfinare, (…) in una lucida coscienza e pervicace volontà di non vedere per non agire”, così configurandosi pienamente l’elemento soggettivo del reato di omessa denuncia.

L’assoluzione definitiva

Ma siffatta pronuncia non è stata confermata dai giudici della Sesta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 27715/2019) che, invece, hanno assolto l’imputato “perché il fatto non sussiste”.

«L’inerzia della struttura operativa complessa di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro diretta dall’imputato (di possibile rilevanza nella competente sede amministrativa o disciplinare), rispetto al prescritto obbligo di procedere all’inchiesta e all’analisi dei diffusi casi di malattia professionale da mesotelioma pleurico o asbesto correlati – come richiesto per motivi di giustizia dalla competente Autorità giudiziaria -, non consente affatto di ritenere perfezionata (…) la violazione dell’obbligo di denunzia da parte del pubblico ufficiale, di un reato di cui abbia avuto notizia nell’esercizio delle sue Funzioni e del quale debba riferire all’Autorità giudiziaria. Tale obbligo, la cui inosservanza è penalmente sanzionata dall’art. 361 c.p., sorge infatti solo quando il pubblico ufficiale è posto in grado di individuare gli elementi del reato ed acquisire ogni altro dato utile per la formazione della relativa denuncia (Sez. 6, n. 49833 del 31/10/2018; Sez. 6, n. 27508 del 06/07/2009)».

In altre parole, per i giudici della Cassazione, la corte territoriale avrebbe confuso tra due reati: l’omessa denuncia e il reato concretamente addebitato all’imputato, in cui l’omissione non riguardava la denunzia di un reato, bensì l’avvio di una pur doverosa attività ispettiva, mirata all’esame dei singoli casi di malattia professionale, sia per finalità epidemiologiche, sia per selezionare fra essi, quelli di rilevanza penale, laddove fossero effettivamente emersi elementi qualificati di reato a carico dei datori di lavoro, sì da determinarne – ma solo a questo punto – l’obbligo di denuncia alla competente Autorità giudiziaria.

La redazione giuridica

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