Il diritto al compenso dell’avvocato scaturisce solo nel caso in cui il contratto di mandato difensivo esista e sia stato effettivamente adempiuto

La vicenda

Due avvocati avevano convenuto dinanzi al Tribunale di Treviso gli eredi di un defunto collega, per la liquidazione dei compensi professionali, espletati in sua difesa, in due distinte procedure giudiziali: il primo in una controversia volta al recupero di crediti professionali, il secondo nel giudizio di impugnazione di una delibera assembleare proposto nei confronti del condominio.

In primo grado l’istanza fu accolta: il Tribunale condannò i convenuti al pagamento della somma di 13.800 euro circa oltre interessi legali, ritenendo che il conferimento della procura e la partecipazione alle udienze comprovassero l’esistenza e lo svolgimento del mandato difensivo, e quindi giustificassero la richiesta di pagamento.

Contro tale ordinanza gli eredi del defunto proposero appello.

All’esito dell’istruttoria, la corte d’appello di Venezia, accolse il ricorso e dispose il rimborso delle somme percepite dai due avvocati, in esecuzione dell’ordinanza impugnata.

Dalle prove raccolte in giudizio era infatti emerso, con sufficiente grado di certezza, che i due professionisti avevano ricevuto la procura solo per ragioni di cortesia da parte del defunto collega, ma che tutta l’attività professionale era stata svolta da quest’ultimo (redazione degli atti difensivi, istruzioni per le udienze, definizione transattiva e comunque ogni attività di opera professionale), anche attraverso una sua collaboratrice, che aveva confermato tale circostanza.

A supporto della sua decisione, la corte territoriale aveva rilevato la presenza di numerosi errori ed imprecisioni nella stesura delle notule che denotavano una non puntuale conoscenza dell’effettivo andamento delle cause.

Quanto, infine, alla partecipazione alle udienze da parte degli istanti, aveva affermato che essa rientrasse nella prassi delle reciproche sostituzioni in udienza, nonché nel rapporto di collaborazione, all’epoca esistente.

La Corte di Cassazione (sentenza n. 20865/2019) ha confermato siffatta pronuncia, ribadendo in primo luogo la distinzione tra rapporto endoprocessuale nascente dalla procura ad litem e rapporto di patrocinio.

Il contratto di patrocinio

La sentenza impugnata aveva fatto riferimento all’autonomia che, sia logicamente che giuridicamente, viene riconosciuta alla procura rispetto al contratto di patrocinio.

Mentre la procura “ad litem” è un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare in giudizio la parte, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (c.d. contratto di patrocinio) con il quale il legale viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte.

Conseguentemente, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa richiesta solo per lo svolgimento dell’attività processuale, né rileva il versamento di un fondo spese o di un anticipo sul compenso, atteso che il mandato può essere anche gratuito e che, in ipotesi di mandato oneroso, il compenso e il rimborso delle spese possono essere richiesti dal professionista durante lo svolgimento del rapporto o al termine dello stesso.

Detto in altri termini, il diritto al compenso scaturisce solo nel caso in cui il contratto di mandato difensivo esista e sia stato effettivamente adempiuto.

Nel caso in esame proprio tale rapporto di mandato era venuto in discussione: non vi erano dubbi, infatti che i due ricorrenti non fossero stati officiati non di un vero e proprio incarico professionale, ma avessero agito soltanto per ragioni di cortesia.

La redazione giuridica

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