Si torna a discutere in materia di assegno divorzile e, anche questa volta, è venuto in rilievo il nuovo orientamento espresso dalle Sezioni Unite in ordine alla sua rinnovata natura

Nel caso in esame, la vicenda è stata trattata dal Tribunale Ordinario di Roma che, di fronte alla richiesta di divorzio di due coniugi già separati, ha tenuto conto nella determinazione dell’assegno divorzile, tra le altre circostanze, della dedizione della moglie che per tutta la durata del matrimonio si era presa cura dei propri figli, sopperendo alle mancanze del padre sempre assente per lavoro.

La vicenda

Come noto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 18287/2018, hanno ritenuto di dover superare la consolidata giurisprudenza che aveva affermato la natura meramente assistenziale dell’assegno divorzile nonché la c.d. concezione bifasica. Quest’ultima prevedeva la rigida biripartizione tra la fase del giudizio riservata alla individuazione dei criteri attributivi e quella destinata alla analisi dei criteri determinativi dell’assegno; sicché solo nel caso in cui fosse stata accertata la mancanza di mezzi o l’incapacità di procurarseli per ragioni obiettive, poteva essere compiuta la valutazione sul quantum dell’assegno in favore della parte richiedente.

Con la citata pronuncia, la Suprema Corte, rilevando come “lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare”, “frutto delle decisioni comuni (…) , riguardanti i ruoli endofamiliari in relazione all’assolvimento dei doveri indicati nell’art. 143 c.c. e costituenti “l’espressione tipica dell’autodeterminazione e dell’autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda ex artt. 2 e 29 Cost. la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio”, ha riconosciuto all’assegno divorzile una natura composita.

In particolare, ne ha attributo sia una funzione assistenziale (fondata sui parametri delle “condizioni dei coniugi” e del “reddito di entrambi”)’ sia una funzione compensativa-perequativa (valorizzando il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio di entrambi i partner), sia una funzione risarcitoria ( con riferimento alle ragioni della decisione) sebbene a quest’ultima sembri essere stata attribuita minore rilevanza, in quanto non riportata nel principio di diritto enunciato nella parte finale della decisione.

La valutazione del giudice nella determinazione del quantum dell’assegno

In concreto, l’operazione del giudice deve essere diretta a vagliare comparativamente le attuali situazioni economico-reddituali degli ex coniugi (comprensive delle potenzialità dell’ex coniuge richiedente l’assegno di avere adeguati mezzi propri o di essere capaci di procurarseli); successivamente dovrà verificare se lo squilibrio, ove sussistente, sia frutto delle scelte condivise assunte in costanza di matrimonio e, dunque, stimare il contributo dato da ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune, in particolare alla luce del criterio della durata del matrimonio, atteso che più lungo è stato il matrimonio e maggiore sarà l’apporto di ciascun coniuge alla formazione delle sostanze comuni e allo sviluppo delle capacità reddituali dell’altro coniuge, (…) nell’ottica di riconoscere piena equiordinazione tra il lavoro domestico, di accudimento dell’altro e dei figli (allo stato privo di concreto riconoscimento reddituale) e il lavoro prestato all’esterno del nucleo familiare.

Ebbene, nella vicenda in esame, era emerso che la donna richiedente l’assegno divorzile era priva di redditi e che, considerate l’età (ultracinquantenne), l’elevato grado di invalidità e la mancanza di qualifica professionale specifica, ella non sarebbe certamente riuscita ad inserirsi, in maniera proficua, nel mondo del lavoro.

La dedizione della madre

Ma il dato più rilevante era quanto emerso già nella sentenza di separazione, ossia che la donna, per far fronte alla situazione di prolungata assenza del padre della vita dei figli, negli oltre venti anni di vita comune, si era occupata quasi esclusivamente della loro crescita ed educazione; con ciò dovendosi desumere che ella avesse contribuito in maniera evidente alla realizzazione lavorativa del marito e del patrimonio familiare nel suddetto periodo di matrimonio.

Tale circostanza è stata giustamente valorizzata dal tribunale capitolino che le ha riconosciuto un assegno divorzile di importo pari a 550 euro mensili.

La redazione giuridica

 

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