Il tenore di vita può essere definito come il livello di soddisfazione dei bisogni che si può raggiungere impiegando le risorse economiche a disposizione

Il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori è un criterio espressamente indicato nel codice civile (art. 155 c.c.) in materia di determinazione dell’assegno di mantenimento; tuttavia, esso non è criterio assoluto, sia perché concorre con altri criteri pure indicati nelle disposizioni del codice civile, sia perché in alcune situazioni, il mantenimento del precedente tenore di vita, considerato il depauperamento complessivo che la separazione comporta, diviene oggettivamente impossibile. (De Filippis).

Ma che cos’è il tenore di vita?

In linea teorica esso può essere definito come il livello di soddisfazione dei bisogni che si può raggiungere impiegando le risorse economiche a disposizione. In pratica, è una misura tutt’altro che agevole. (Governatori)

La questione è delicata dal momento che le famiglie, in caso di separazione, presentano una composizione diversa: quella originaria è formata (teoricamente) da una coppia di genitori con figli; quelle risultanti dalla separazione sono formate entrambe da un mono-genitore part-time (single, per il tempo in cui sono affidati dall’altro genitore, e monogenitore, per la restante parte del tempo).

È chiaro che il tenore di vita delle famiglie che si vogliono confrontare non dipende solo dalle risorse che esse avranno a disposizione (valutate in termini di reddito o spesa in consumi che sia), ma anche dai bisogni differenti, che si determinano in relazione alla diversa composizione familiare. (Governatori)

E allora se è vero che per il mantenimento dei figli, l’elemento fondante su cui basare la misura dell’assegno sembra essere il tenore di vita, sia quello goduto nella situazione di famiglia unita (il “tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori” citato dal nuovo art. 155 c.c.) sia quello che è possibile raggiungere dopo la rottura della coppia (le “attuali esigenze del figlio” citate sempre dal 155), tale criterio deve essere considerato quale mero principio tendenziale: un modello cui tendere, dal momento che esso sta ad indicare che il minore dovrebbe essere tenuto indenne, nella misura in cui ciò è possibile, delle conseguenze economiche della separazione dei suoi genitori (Cass., 24 aprile 2007, n. 9915).

Di recente, la Suprema Corte di Cassazione (VI Sezione Civile sentenza n. 3922/2018) è tornata ad affrontare la questione ribadendo che “… per il mantenimento dei figli è necessario considerare costi diversi da quelli connessi al mero sostentamento, e dunque, esigenze relative, anche, all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, con la precisazione che i figli hanno diritto di mantenere il tenore di vita loro consentito dai proventi e dalle disponibilità concrete di entrambi i genitori e cioè quello stesso che avrebbero potuto godere in costanza di convivenza”.

In verità, il ricorrente aveva posto un’ ulteriore questione alla quale, tuttavia, la Suprema Corte non ha risposto, trattandosi di questione implicante valutazioni di merito e pertanto, incompatibile con il giudizio di legittimità: l’applicazione del criterio del “tenore di vita” nella determinazione dell’assegno di mantenimento del figlio a carico di uno dei coniugi separati, non crea forse una disparità di trattamento tra il figlio non convivente e quello con lui convivente (cui residuerebbe una somma “ben inferiore” rispetto a quella determinata per i fratelli)?

 

Avv. Sabrina Caporale

 

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