La Cassazione si è espressa su un caso di assistenza familiare, fornendo alcune precisazioni nel caso in cui venissero violati gli obblighi

Una sentenza della Corte di Cassazione penale, la n. 35923 del 20 luglio 2017, specifica meglio il reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, ex art. 570 c.p.
Ci siamo già occupati della questione, ossia dell’obbligo di versare l’assegno di mantenimento che riguarda anche il disoccupato (sentenza n. 39411/2017 della Cassazione penale; se vuoi approfondire, clicca qui).
In tale occasione, la Cassazione specificava quali erano le eccezioni all’obbligo di assistenza familiare.
Il genitore si può esimere dall’obbligo, infatti, solo provando l’assoluta impossibilità di assolvere al dovere e dimostrando in modo incontrovertibile, che ogni tentativo di trovare lavoro sia stato vano.
Inoltre, specificava la sentenza, non basta provare che il minore titolare del diritto non si trovi in stato di indigenza. Lo stato di necessità, infatti, è considerato endemico alla sua condizione. Condizione che deve essere tutelata, senza mezzi termini.
Nel caso di cui ci occupiamo oggi, con la sentenza n. 35923/2017, la Cassazione approfondisce quanto detto sopra.
Il mancato versamento dell’assegno di mantenimento non integra il reato ex 570 c.p. solo se l’imputato dimostra di essere trovato in una persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di risorse economiche.

Il caso esaminato dalla Cassazione

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Roma aveva confermato la condanna di un imputato per il reato di cui all’art. 570 cod. pen. (violazione degli obblighi di assistenza familiare) e di cui all’art. 612, comma 2, cod. pen. (minacce).
L’uomo aveva infatti costretto la moglie e il figlio minore ad allontanarsi dalla casa familiare, facendo mancare loro i mezzi di sussistenza.
Inoltre, essendo il marito il datore di lavoro della moglie, dopo averle sottratto il bancomat l’aveva licenziata. L’imputato, in particolare, avrebbe minacciato di morte la moglie, “sia con il fucile che mimando il gesto del taglio della gola”.
Il ricorrente però contestava la decisione della Corte d’appello su tre punti.
Il primo, che la testimonianza della moglie avrebbe dovuto essere sorretta da altri riscontri.
Il secondo, che dalla consulenza tecnica effettuata in primo grado sarebbe “emersa l’incoerenza del racconto della donna”, che l’avrebbe denunciato solo per vendetta.
Terzo, non era stato tenuto in considerazione il fatto che avesse effettuato un versamento di 24.000 euro in favore della moglie.
L’imputato, inoltre, sosteneva che la moglie si era allontanata volontariamente dalla casa coniugale.

Le motivazioni della Cassazione

Secondo la Cassazione, invece, la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la propria decisione, ma ha ugualmente dato ragione in parte al ricorrente.
Secondo gli Ermellini, le dichiarazioni della moglie erano da considerare attendibili, in quanto lineari, coerenti e persino documentate da conversazioni registrate dalla stessa”, ed erano state confermate dalla sorella.
Inoltre, la Corte d’appello aveva correttamente confermato la condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 570 cod. pen., dal momento che egli stesso aveva ammesso di non aver versato alla moglie l’assegno di mantenimento.
Pur avendo affermato di non averlo fatto per “sopravvenute difficoltà economiche”, le stesse non erano state provate.
Precisa la Cassazione che l’incapacità economica dell’obbligato può giustificare il mancato versamento del mantenimento solo a condizione che si tratti di una incapacità “assoluta”, che si concreti in una “persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti”.
Nel caso in esame, invece, secondo la Cassazione, l’imputato non aveva assolutamente dimostrato “di versare in una situazione di assoluta ed incolpevole indigenza”.
Tuttavia, secondo la Cassazione, la causa doveva comunque essere rinviata alla Corte d’appello, in quanto la stessa non aveva tenuto in considerazione il fatto che l’imputato, per un certo periodo, aveva adempiuto al proprio obbligo di mantenimento.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione, pur confermando la colpevolezza del ricorrente, annullava la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’appello, affinché questa provvedesse a rideterminare la pena inflitta all’imputato, il quale, per un certo periodo, aveva correttamente adempiuto ai propri obblighi.
 
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