Nel caso di doppia assoluzione, non è più consentito al pubblico ministero muovere censure alla motivazione della sentenza, potendo ricorrere per cassazione, soltanto per le altre ipotesi di violazione di legge

La Corte d’Appello di Lecce, giudicando sull’appello proposto dal Procuratore della Repubblica, aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Taranto, all’esito del dibattimento, aveva dichiarato l’assoluzione dell’imputato, accusato di violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) posta in essere, ripetutamente, nei confronti delle due figlie minori.

Contro la sentenza d’appello, il Pubblico Ministero proponeva ricorso per Cassazione (sent. n. 54693/2018).

Un solo e articolato motivo a guidare il gravame dell’accusa dinanzi ai giudici di Piazza Cavour.

Motivo tuttavia, giudicato inammissibile. Il Pubblico Ministero pare non aver considerato la novità legislativa contenuta nell’art. 608 c.p.p. che disciplina il ricorso per Cassazione del pubblico ministero, intervenuta a seguito della cd riforma Orlando (Art. 1, comma 69, l. 23 giungo 2017, n. 103), affermano i giudici Ermellini.

La cd. Riforma Orlando, ha aggiunto all’art. 608, il comma 1-bis che così statuisce: “se il giudice di appello pronuncia sentenza di conferma di quella di proscioglimento, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’art. 606”.

Si tratta delle ipotesi di cd “doppia conforme” di assoluzione. In tali casi, non è più consentito al pubblico ministero di muovere censure alla motivazione della sentenza, potendo ricorrere per cassazione, in sostanza soltanto per le altre ipotesi di violazione di legge.

Quanto alla applicabilità della norma ratione temporis, la Cassazione ha già avuto modo di affermare che, in assenza di una disciplina transitoria, deve farsi riferimento alla data di presentazione del ricorso, che costituisce il momento in cui matura l’aspettativa del ricorrente alla valutazione di ammissibilità dell’impugnazione. ( Sez. V, n. 4398/2017).

Un siffatto principio non è nuovo nel nostro ordinamento. Esso aveva trovato già applicazione con riguardo alla modifica dell’art. 613, comma 1, c.p.p. operata con l’art. 1, comma 63 della stessa riforma, che aveva, a sua volta, eliminato la possibilità per l’imputato, di proporre personalmente ricorso per cassazione senza assistenza di un difensore iscritto all’albo speciale presso la Corte di Cassazione, pena la sua inammissibilità.

Si era già detto, con riguardo a questo specifico caso, che l’inammissibilità operasse a prescindere dalla data di emissione del provvedimento impugnato, incidendo la novella normativa non tanto sul diritto di impugnare, bensì soltanto sulla disciplina delle diverse modalità del suo esercizio (Sez. V, sent. n. 10142/2017).

 

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