La sentenza del Consigliere Scoditti (18392/2017) nulla ha cambiato in termini di ricerca del nesso causale: bisogna solo comprendere meglio la differenza tra atto medico e inesatto adempimento qualificato.

Quale dimostrazione è a carico del danneggiato? Il nesso di causa tra atto medico e il danno lamentato o tra questo e l’inadempimento/inesatto adempimento qualificato?

Ma soprattutto, cosa si intende per atto medico e cosa per inadempimento (o inesatto adempimento) qualificato?

Tali riflessioni traggono origine dalla sentenza di Cassazione Civile 18392 del 26.07.2017 (sentenza del Cons. Scoditti), condivisa da alcuni altri Consiglieri della III sez. nei mesi successivi, nella quale il relatore per invertire l’onere della prova della causa ignota dal convenuto al danneggiato, ha praticamente “demolito” il concetto della “vicinanza della prova” (affermato dalla stessa Cassazione a Sez. Unite nel 2001 con la sentenza n. 13533).

In tale sentenza (Scoditti) e in altre successive si afferma, giustamente, che l’eziologia del danno fa parte del fatto costitutivo della domanda che è prova che incombe sull’attore: ma questo si sapeva da tempo!

Per meglio comprendere quanto fin’ora detto si riporta uno stralcio di tale sentenza dalla quale è possibile estrapolare, secondo lo scrivente, il vulnus di tale dotta e condivisibile rappresentazione dei fatti (che sta fuorviando i giudici di prime cure) e che ci costringe a considerare un aspetto nuovo, ossia quello dell’atto medico e della sua differenza con l’inadempimento o inesatto adempimento qualificato del medico.

Cassazione Civile 18392 del 26.07.2017 – Rel. Consigliere Scoditti:

“…Secondo la giurisprudenza di questa Corte ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (fra le tante Cass. 16 gennaio 2009, n. 975; 9 ottobre 2012, n. 17143; 20 ottobre 2015, n. 21177). Come affermato da Cass. 12 settembre 2013, n. 20904, “dal punto di vista del danneggiato la prova del nesso causale quale fatto costitutivo della domanda intesa a far valere la responsabilità per l’inadempimento del rapporto curativo si sostanzia nella dimostrazione che l’esecuzione del rapporto curativo, che si sarà articolata con comportamenti positivi ed eventualmente omissivi, si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di preteso danno, che è rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui si era richiesta la prestazione o dal suo aggravamento fino anche ad un esito finale come quello mortale o dall’insorgenza di una nuova patologia che non era quella con cui il rapporto era iniziato”.

Grava quindi sul creditore l’onere di provare il nesso di causalità fra l’azione o l’omissione del sanitario ed il danno di cui domanda il risarcimento. Non solo il danno ma anche la sua eziologia è parte del fatto costitutivo che incombe all’attore di provare. Ed invero se si ascrive un danno ad una condotta non può non essere provata da colui che allega tale ascrizione la riconducibilità in via causale del danno a quella condotta. Se, al termine dell’istruttoria, resti incerta la reale causa del danno, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano quindi sull’attore.

Nella giurisprudenza di questa Corte si rinviene tuttavia anche l’enunciazione del principio di diritto secondo cui nel giudizio di risarcimento del danno conseguente ad attività medico chirurgica, l’attore danneggiato ha l’onere di provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e di allegare l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, restando, invece, a carico del medico e/o della struttura sanitaria la dimostrazione che tale inadempimento non si sia verificato, ovvero che esso non sia stato causa del danno (Cass. 30 settembre 2014, n. 20547; 12 dicembre 2013, n. 27855; 21 luglio 2011, n. 15993 e già Cass. Sez. U. 11 gennaio 2008, n. 577).

Si tratta di contrasto apparente con il principio di diritto sopra richiamato in quanto la causa che viene qui in rilievo non è quella della fattispecie costitutiva della responsabilità risarcitoria dedotta dal danneggiato, ma quella della fattispecie estintiva dell’obbligazione opposta dal danneggiante…

…La causa di non imputabilità dell’impossibilità di adempiere è, come si è detto, in quanto ragione di esonero da responsabilità, tema di prova del debitore/danneggiante. Il debitore che alleghi la fattispecie estintiva dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile deve provare sul piano oggettivo il dato naturalistico della causa che ha reso impossibile la prestazione e sul piano soggettivo l’assenza di colpa quanto alla prevenzione della detta causa…

…Emerge così un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla impossibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)”.

A questo punto vediamo il perchè necessita specificare la differenza tra atto medico e inesatto adempimento medico.

Cominciamo col dire che il primo (atto medico) contiene il secondo (inesatto adempimento), ossia l’atto medico è l’intera prestazione del sanitario mentre l’inesatto adempimento qualificato è il gesto o la singola e specifica esecuzione della prestazione sanitaria.

Qualche esempio?

L’atto medico è, per esempio, rappresentato dall’intervento chirurgico e l’inesatto adempimento qualificato è rappresentato dal gesto chirurgico attraverso il quale si produce il danno evento (es: lesione vascolare) o anche da una inesatta gestione del post operatorio (che, per l’appunto, fa parte della prestazione globale del sanitario).

Insomma, bisogna capirci su un fatto, indipendentemente dal c.d. doppio ciclo causale citato nella sentenza Scoditti: l’evento di danno è l’errore medico e il danno conseguenza è il danno finale lamentato dal paziente.

Se ambedue i cicli causali sono legati all’evento di danno (ossia l’errore medico) e il paziente deve dimostrare il nesso tra questo e il danno lamentato, bisogna decidere se questo nesso è quello definito come “astrattamente idoneo a produrre l’evento lamentato” o meno.

Questo perché sia il fatto costitutivo che il fatto estintivo dipendono entrambi da tale nesso di causa, mentre tutto il resto è sofismo giuridico!

Inoltre, come premesso, esistendo una grande differenza tra atto medico e inadempimento qualificato, se il danneggiato avesse l’onere di provare specificatamente quale sia stato l’errore medico, significherebbe far diventare tutta la responsabilità sanitaria di natura extra contrattuale (sembra a chi scrive che aleggi questo nell’aria!).

Come dice il Consigliere Scoditti il contrasto tra i due principi sopra enunciati è solo apparente.

E ciò è vero se si puntualizza il significato di “inadempimento qualificato in astratto idoneo a procurare il danno lamentato dal danneggiato”.

Il tutto si può sostanziare nel quesito:

“al paziente basta allegare il nesso causale tra l’atto medico e il danno lamentato secondo il criterio della possibilità scientifica o no?”.

E che non si confonda il significato del termine “possibilità”, in quanto se da un evento è possibile scientificamente che ne discenda un altro, tale allegazione supera il concetto del “più probabile che non”.

La prova del fatto estintivo a carico del convenuto debitore comincia quando il danneggiato allega il nesso di causalità tra atto medico e danno subito (oltre che al contratto e il maggior danno).

Può esistere una causa eziologica ignota quando il paziente ha dimostrato il nesso di causalità tra atto medico astrattamente idoneo e danno lamentato?

In realtà alla etiopatogenesi di un decesso o di un danno biologico si può sempre risalire anche se non in termini di certezza in quanto questa potrebbe attribuirsi a più cause. Quindi è incongruo parlare di causa ignota e sarebbe più opportuno parlare di causa incerta, proprio perché non unica può essere l’eziologia di un danno.

La causa ignota a cui si riferisce il Consigliere Scoditti in verità è una causa eziologica incerta (come precisato dalla ctu svolta nel giudizio di merito che ne ravvisava due).

Il fulcro di questa riflessione è proprio questa questione, per cui sarà meglio precisare che la causa ignota è quella che non è stata rilevata, mentre la causa incerta è quella che, eventualmente insieme a delle altre teoriche, potrebbe connettere causalmente due fatti.

Ergo, se il paziente allega la possibilità scientifica che da un atto medico (senza specificarne l’esatto inadempimento) può discendere il danno di cui chiede il risarcimento, la “palla” balza in mano ai debitori convenuti di dimostrare che il danno lamentato non dipende dall’errore dei medici o dalla loro attività.

Il collegio peritale del merito, a cui si riferisce il Consigliere Scoditti nella propria sentenza, le cause eziologiche le ha trovate, ma non hanno ritenuto (a ragione) che queste siano in collegamento con l’attività dei sanitari che hanno gestito le cure del paziente.

Quindi non è un problema di causa eziologica ignota, ma di mancanza di nesso di causa tra l’operato dei medici e il decesso del paziente per evento inevitabile (prova che al posto dei convenuti ha dato il collegio peritale…che serve proprio a questo!).

Trattasi quindi solo di mal interpretazione della consulenza tecnica di ufficio e non di cambiamento di rotta sull’onere probatorio del danneggiato.

Ahimè, la giurisprudenza di prime cure, velocemente, si sta allineando alla successiva scia giurisprudenziale di cassazione (per fortuna contraddetta nella sostanza da altre pronunce della stessa corte) proprio per questo errore concettuale tra causa ignota e incerta.

Approfondiremo con esempi reali (ctu) questo discorso, per cui si spera solamente che i giudici di prime cure siano più prudenti e leggano attentamente molte sentenze di cassazione del 2018 che confermano quanto qui rappresentato.

Dr. Carmelo Galipò

Pres. Accademia della Medicina Legale

 

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