La causa eziologica incerta del danno non equivale a mancanza di nesso causale tra il danno e l’inadempimento dei sanitari. Comincia, con questo, la serie di articoli sulla importanza della qualità della ctu per una giusta sentenza

Causa eziologica ignota o incerta? E’ questione di mancanza di nesso causale o di insoddisfatto onere probatorio del danneggiato?
Con questa riflessione mi voglio ricollegare all’articolo della scorsa settimana per dimostrare che a volte un piccolo malinteso “costringe” i magistrati a snocciolare concetti giuridici terribilmente affascinanti ma con nessuna portata innovativa.
Analizziamo la ctu a cui si fa riferimento nella sentenza di Cassazione n. 18392/17:
Il collegio peritale apre le considerazioni medico legali con la seguente “conclusione”:
“Gli accertamenti anatomopatologici eseguiti da questi CTU portano ad affermare che il sig. XY. non è deceduto per tromboembolia periferica polmonare. Il quadro anatomopatologico di maggior rilievo è risultato essere un esteso infarto cerebrale, con elevato grado di certezza insorto con il riferito arresto cardiorespiratorio del paziente. L’infarto cerebrale può conseguire a molteplici cause…
…Per ultimo abbiamo l’ipotesi del danno cerebrale conseguente ad arresto cardiaco prolungato…”.
Tale premessa è tutto un programma in quanto sconfessa il ragionamento della causa eziologica ignota: le cause del decesso sono state “rivelate” dal collegio peritale.
L’attività deduttiva dei consulenti ha rivelato la causa eziologica del decesso e trasformato l’incertezza in certezza scientifica, anche se gli esperti si sono espressi non nella maniera opportuna (ma di questo ci occuperemo nel proseguo dell’articolo).
Ciò che si è stabilito, dunque, è che il fatto emorragico intraoperatorio (in corso di prostatectomia) potenzialmente (quindi in astratto) poteva essere causa del decesso e quindi di inesatto adempimento dei sanitari chirurghi.
Dunque, l’onere probatorio a carico del paziente danneggiato (o meglio dei congiunti danneggiati) è soddisfatto, quindi la fase successiva dell’indagine peritale sale di livello passando alla prova dell’effettivo nesso di causalità tra l’inesatto adempimento dei sanitari e il decesso per arresto cardiorespiratorio.
Tale prova è a carico dei convenuti che, per l’appunto, devono provare il fatto estintivo della loro obbligazione, ossia che il decesso sia imputabile a causa sopravvenuta imprevedibile ed inevitabile e non per l’errore chirurgico dimostrato (evento di danno).
Per fortuna che il collegio peritale, per il ruolo rivestito, si è ben sostituito ai convenuti dimostrando l’estraneità dei sanitari con l’evento morte del paziente.
Vediamo come, ma prima focalizziamoci sul punto che ha messo in crisi i magistrati (che hanno recepito la massima di questa sentenza) :
Il collegio peritale così si esprime nelle conclusioni: “…volendo quindi ricostruire in modo conclusivo la patogenesi del sig. XY risultano due ipotesi possibili: a) arresto/aritmia grave cardiaca prolungata, condizionante l’insorgenza di edema polmonare acuto e danno ischemico cerebrale grave e diffuso coinvolgente anche il tronco cerebrale; b) danni ischemico al tronco cerebrale con conseguente arresto cardiaco e edema polmonare acuto da difetto del controllo dell’attività respiratoria. Come già detto la prima patogenesi appare quella più probabile soprattutto ragionando sulle caratteristiche del danno cerebrale rilevato…. In entrambi le ipotesi patogenetiche non è tuttavia possibile definire con elevato grado di certezza l’eziologia del decesso (causa che ha portato o al primitivo arresto cardiaco o al primitivo danno ischemico del tronco cerebrale).”
E’ quest’ultima riga che ha fuorviato i magistrati e certo non per contraddittorietà in termini della frase “elevato grado di certezza” (versus “elevato grado di probabilità), ma per il concetto deduttivo fatto trasparire nella sentenza stessa. Ossia, che “è onere a carico del danneggiato dimostrare l’intera catena causale eziologica del danno lamentato (nel caso de quo la morte)” in quanto parte costitutiva del danno stesso.
Una precisazione va fatta sulla contraddittorietà di tale ultima riga. I consulenti hanno ben precisato la patogenesi del decesso: esso è stato causato da esteso infarto cerebrale da arresto cardiaco legato a aritmia grave prolungata. Quello che i consulenti non hanno saputo indicare con “certezza” è la causa (primum movens) della aritmia grave prolungata (visto che questa era tra le due l’ipotesi più probabile) che ha condotto all’infarto ischemico cerebrale e quindi al decesso.
Come affermato nell’articolo precedente la confusione risiede non sul contenuto concettuale della sentenza che è sacrosanto, ma sul fatto che si sia sorvolato (dopo tanti approfondimenti giuridici) sul significato del concetto “inadempimento qualificato adeguato in astratto a procurare il danno lamentato”.
Si è sempre affermato che il termine “astratto” contiene in sé tutta l’incertezza (possibilità) della connessione causale tra due eventi, che non può non essere definita se non con il concetto di “possibilità scientifica”. E il collegio peritale lo conferma precisando le due possibili patogenesi dell’ischemia cerebrale e, dunque, del decesso.
Quindi se è vero che l’errore intraoperatorio dei chirurghi nell’effettuazione della prostatectomia è causa della emorragia e che questa può essere in astratto causa dell’arresto cardiaco, l’onere a carico del danneggiato di provare l’inadempimento qualificato è stato soddisfatto, per cui rimaneva a carico dei convenuti dimostrare il fatto estintivo dell’obbligazione opposta dal danneggiante. E questi lo hanno fatto grazie alla scrupolosa indagine scientifica dei consulenti del giudice.
Definito ciò, vediamo cosa ha affermato il collegio peritale sul ruolo dei sanitari nell’evento di decesso del sig. XY
E’ questa l’analisi concreta da effettuarsi per verificare l’assenza di responsabilità dei sanitari nell’evento “decesso” reclamato dai congiunti del sig. XY e non certo quello di verificare il primum movens della causa eziologica del danno. Tale pretesa condurrebbe tutta la natura della responsabilità sanitaria nell’alveo del 2043 c.c.
Il collegio peritale ha concluso che “…l’evento che ha portato al decesso sia stato acuto e imprevedibile, sulla base del profilo clinico del paziente, per i curanti”.
Insomma la causa che ha portato al decesso il paziente, sulla scorta dei dati clinici rilevabili in cartella, non era dai sanitari prevedibile e quindi evitabile con una condotta perita, diligente e prudente (ossia anche senza il verificarsi della emorragia intraoperatoria).
Ergo, nulla è cambiato sul riparto degli oneri probatori tra attore e convenuto, ma si è solo dimostrato come non può esserci colpa sanitaria quando non esiste concretamente (e non in astratto) il nesso causale tra danno lamentato e atto medico.
Purtroppo la portata concettuale sulla causa eziologica ignota e/o incerta ben espressa nella sentenza del Consigliere Scoditti ha procurato non poca confusione nelle valutazioni giuridiche successive. E questo lo verificheremo nelle prossime settimane quando passeremo a setaccio alcune sentenze e ctu successive al luglio 2017.
Dr. Carmelo Galipò
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