Con ricorso presentato dinanzi al Tribunale di Perugia l’utente contestava l’emissione di alcune bollette ad opera della società fornitrice del servizio di somministrazione gas, non corrispondenti agli effettivi consumi, ma “gonfiate” a causa di un malfunzionamento del contatore

Ma sia in primo grado che in appello, il processo si concludeva con la condanna per il ricorrente al pagamento della somma contenuta nelle predette bollette.
Cosicché questi si rivolgeva ai giudici della Cassazione con ricorso presentato a mezzo del proprio difensore di fiducia.
Con un primo motivo il ricorrente chiedeva la censura della decisione impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e/o 5): la corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di rilevare la necessità della dimostrazione, da parte della società di somministrazione del gas (al fine di ritenere adeguatamente comprovato il credito dalla stessa vantato), della corretta funzionalità del contatore relativo all’impianto di distribuzione del gas, non essendo sufficiente la prova della sola circostanza che la fornitura di gas fosse ancora in corso all’atto dell’emissione delle fatture o del rilevamento dei consumi.
E che, pertanto la mancata dimostrazione, da parte della società attrice, della corretta funzionalità del contatore relativo all’impianto di erogazione del gas avrebbe dovuto imporre il rigetto della relativa pretesa creditoria, pena la violazione del principio relativo alla distribuzione dell’onere della prova (di cui all’art. 2697 c.c.).

La decisione della Cassazione

I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno accolto il ricorso per le ragioni che seguono.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di contratti di somministrazione, la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità, sicché, in caso di contestazione, grava sul somministrante l’onere di provare che il contatore era perfettamente funzionante, mentre il fruitore deve dimostrare che l’eccessività dei consumi è dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitare con un’attenta custodia dell’impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinché eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi (cfr. Sez. 3 -, Sentenza n. 23699 del 22/11/2016).
Nel caso in esame, i giudici della corte d’appello avevano “inammissibilmente” ritenuto sufficiente la prova della circostanza costituita dalla continuità della fornitura di gas nel periodo relativo al rilevamento dei consumi o all’atto dell’emissione delle fatture poste a fondamento del credito azionato in giudizio, senza alcun riferimento, neppure indiretto, alla decisiva circostanza relativa al regolare funzionamento del contatore dell’impianto, di per sé destinata a dar conto dell’effettiva entità della fornitura effettuata e indicata a fondamento del corrispettivo rivendicato dalla società somministrante.
Così facendo la decisione impugnata avrebbe sostanzialmente, invertito l’onere della prova imposto al creditore di prestazioni rese a titolo di somministrazione, violando l’art. 2697 c.c.

La redazione giuridica

 
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