Il lavoratore chiedeva la declaratoria di illegittimità del provvedimento disciplinare disposto dall’azienda datrice per i commenti offensivi postati dall’uomo su Facebook

Aveva pubblicato sul social network Facebook immagini e commenti offensivi nei confronti della Società datrice e dei suoi responsabili. L’uomo, licenziato per motivi disciplinari, si era rivolto alla Giustizia per ottenere la declaratoria di illegittimità del provvedimento.

La richiesta era stata respinta sia in primo grado che in appello. La Corte territoriale, in particolare, aveva ritenuto provate, a prescindere dal carattere anonimo della denuncia, le circostanze su cui era fondata la tesi della riferibilità al lavoratore dei comportamenti contestati.

La persona che si era presentata in azienda aveva segnalato e consentito di verificare la presenza sul profilo Facebook del lavoratore, cui aveva accesso in quanto “amico”, delle immagini e dei commenti poi contestati.

Nel ricorrere per cassazione, il lavoratore evidenziava come la Corte territoriale avesse disatteso la regola che onera il datore della prova della ricorrenza della giusta causa.

Il Giudice d’appello aveva infatti ritenuto irrilevante ai fini dell’assolvimento di tale onere l’identificazione del denunciante anonimo. Inoltre aveva accollato al ricorrente la prova della circoscritta potenzialità diffusiva dei “post pubblicati”.

La Suprema Corte, tuttavia, con la sentenza n. 28878/2018, ha ritenuto infondato tale motivo di impugnazione respingendo il ricorso. Per gli Ermellini l’infondatezza discendeva “dalla non ravvisabilità del denunciato malgoverno delle regole sull’onere della prova”. Il convincimento della Corte territoriale, secondo la Cassazione, era “basato su rilievi, immuni da vizi logici e giuridici e neppure fatti oggetto di specifiche censure”. Tali rilievi “assumono la prova sul punto attinta da quanto allegato e chiesto di provare dalla Società datrice a riguardo onerata”.

Da qui la decisione di confermare quanto statuito dai Giudici del merito, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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