In caso trattamento sanitario svolto in assenza di consenso informato, il paziente danneggiato può sempre rivendicare la violazione del diritto all’autodeterminazione

Aveva agito in giudizio nei confronti di un chirurgo e della struttura sanitaria presso cui questi operava. Il paziente chiedeva il risarcimento dei danni occorsigli in seguito a un intervento di chirurgia oftalmica. Egli lamentava, in particolare, la violazione dell’obbligo di renderlo edotto, tramite il consenso informato, del tipo di intervento, dei suoi rischi e delle possibili complicanze.

La domanda era stata respinta sia in primo grado che in appello. Ciò nonostante la Corte territoriale avesse rilevato l’intenzione, da parte dell’appellante, di rifiutare il trattamento qualora fosse stato adeguatamente informato dei rischi connessi. Di qui il ricorso del paziente davanti alla Suprema Corte.

La Cassazione, nel pronunciarsi sulla vicenda con l’ordinanza n. 11749/2018, ha fornito delle interessanti precisazioni in materia di consenso informato.

Gli Ermellini sono partiti dalla definizione di consenso informato fornita dalla Corte costituzionale.

Il consenso informato, quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, rappresenta un vero e proprio diritto della persona. Esso trova fondamento nei principi espressi nell’articoli 2, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione.

L’obbligo del sanitario di acquisire il consenso informato del paziente costituisce, pertanto, “legittimazione e fondamento del trattamento”. Senza la sua preventiva acquisizione, l’intervento è sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente. Fanno eccezione i trattamenti sanitari obbligatori per legge o i casi in cui ricorra uno stato di necessità.

I Giudici del Palazzaccio chiariscono poi che la prestazione che forma oggetto dell’obbligo informativo, costituisce una prestazione distinta da quella sanitaria. Di fatti, esso si correla al diritto fondamentale del paziente all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario propostogli.

Di conseguenza,  la violazione dell’obbligo informativo assume autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria del sanitario.

Esso determina la lesione del diritto fondamentale all’autodeterminazione del paziente, mentre l’inesatta esecuzione del trattamento medico- terapeutico determina la lesione del diritto alla salute.

Può accadere, afferma la Cassazione, che la lesione della salute sia causalmente collegabile alla violazione dell’obbligo informativo. Ciò si verifica nell’ipotesi in cui l’intervento sanitario, non preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, sia stato correttamente eseguito in base alle regole dell’arte ma da esso siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute.

In tal caso, la violazione dell’obbligo non determina soltanto il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in sé, ma anche il danno alla salute. Questo  non è causalmente riconducibile all’inesatta esecuzione della prestazione sanitaria ma alla mancata corretta informazione. Tale principio è valido qualora si debba ragionevolmente ritenere che, se questa fosse stata data, il paziente avrebbe deciso di non sottoporsi all’intervento.

Qualora il paziente alleghi che la violazione dell’obbligo informativo abbia determinato anche un danno alla salute, è necessaria la prova del nesso causale.

Tale prova, invece, non è  necessaria ai fini dell’autonoma risarcibilità del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in sé considerato. In tal caso il danno-conseguenza  corrisponde infatti alla compromissione della genuinità dei processi decisionali fondati su dati alterati o incompleti sotto il profilo informativo.

Nel caso esaminato, pertanto, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del Giudice d’appello in relazione al respingimento della richiesta del danno salute. L’attore, infatti, non aveva dato la prova che, ove fosse stato correttamente informato dei rischi e delle complicanze dell’intervento, avrebbe verosimilmente rifiutato di sottoporvisi. La Suprema Corte ha invece cassato la sentenza di secondo grado nella parte in cui ha escluso la risarcibilità del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in sé considerato.

 

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