La Cassazione si è espressa sui contributi eccedenti alla Cassa Forense da parte degli avvocati e sulla possibilità di ricevere una compensazione
L’onere derivante dal riscatto del diploma di laurea non può essere compensato dai contributi eccedenti alla Cassa Forense a seguito di un provvedimento di ricongiunzione.
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 30234/2017, ha infatti stabilito che in caso di contributi eccedenti alla Cassa Forense, non sussiste alcun principio generale di restituzione di quanto legittimamente versato.
Una brutta conferma per tanti avvocati.
Questo poiché la sentenza ha escluso il diritto a ottenere il riscatto degli anni di laurea compensando il relativo debito con la maggior somma eventualmente incamerata da Cassa forense in conseguenza di un ricongiungimento di contribuzione.
Per i giudici, di fatto, l’avvocato iscritto alla Cassa di previdenza non vanta nessun credito nei confronti della stessa. Non per il solo fatto di aver versato, in conseguenza del provvedimento di ricongiunzione, contributi eccedenti alla Cassa Forense rispetto a quelli dovuti.
Nell’ordinamento italiano, tra l’altro, non sussiste alcun principio generale di restituzione di contributi che siano stati legittimamente versati.
Contributi rispetto ai quali non si sono verificati o non si possono più verificare i presupposti necessari per la maturazione di un diritto a una prestazione previdenziale o assistenziale.
Se tale diritto viene a mancare, non può esistere neanche un diritto che permetta di disporre delle somme corrispondenti alla contribuzione eccedente.
E non è tutto. Per i giudici, non è neanche possibile affermare che in casi come questo si verifichi in capo alla Cassa Forense un indebito arricchimento con ingiustificato impoverimento del professionista.
Ciò in quanto i versamenti fatti non sono indebiti, bensì “contribuzioni dovute”.
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