Con la sentenza n. 7513 del 23/03/2018 la Cassazione è intervenuta a precisare i termini della voce del danno dinamico relazionale, troppo spesso abusata e snaturata

Costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico relazionale).

La vicenda

Il ricorrente, autotrasportatore, era rimasto ferito in conseguenza di un sinistro stradale avvenuto mentre era su un veicolo assicurato, di proprietà della società sua datrice di lavoro. Il sinistro si era, dunque, verificato in occasione di lavoro; cosicché l’INAIL gli aveva già erogato una rendita, ai sensi dell’art. 13 d.lgs n. 38/2000.

Contrariamente, la compagnia assicurativa del veicolo, gli aveva corrisposto delle somme inferiori a quanto a lui spettante, ritenendo che l’incidente fosse stato causato anche per colpa del danneggiato.

Di qui il ricorso e la richiesta di condanna al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza del sinistro, compresi i danni futuri.

Dopo i due gradi di giudizio, la vicenda veniva portata al vaglio dei giudici della Suprema Corte di Cassazione.

La sentenza è importante perché affronta il delicato tema del risarcimento del danno permanente alla salute connesso al danno dinamico relazionale.

Ebbene, proprio con riguardo a quest’ultimo e, più in generale alla materia del danno non patrimoniale, la Cassazione ha avuto modo di affermare che la legge contiene pochissime e non esaustive definizioni; quelle coniate dalla giurisprudenza di merito e dalla prassi sono usate spesso in modo polisemico; quelle proposte dall’accademia obbediscono spesso agli intenti della dottrina che le propugna.

Accade così che lemmi identici vengano utilizzati dai litiganti per esprimere concetti diversi, ed all’opposto che espressioni diverse vengano utilizzate per esprimere il medesimo significato. Questo stato di cose – dichiarano i giudici della Corte – ingenera somma confusione ed implica l’esigenza (già segnalata dalle Sezioni Unite) di “sgombrare il campo da (…) espressioni sfuggenti ed abusate che hanno finito per divenire dei “mantra” ripetuti all’infinito senza una preventiva ricognizione e condivisione di significato (…)” (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015).

Il danno dinamico-relazionale

La nozione di danno dinamico relazionale, comparve per la prima volta nell’art. 13 del d. Igs. 23.2.2000 n. 38, proprio in materia di infortuni sul lavoro. Dopo quel momento il caos.

Ecco perché dopo un lungo excursus giurisprudenziale e normativo e dopo aver passato al vaglio di legittimità i motivi di impugnazione contenuti nel ricorso, la Cassazione fa il punto, riassumendo la tematica nei seguenti termini:

1) l’ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale.

2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomenologicamente) unitaria.

3) “Categoria unitaria” vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 1226, 2056, 2059 c.c.).

4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell’illecito; e dall’altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici.

5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell’effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.

6) In presenza d’un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).

7) In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. A tal riguardo, le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

8) In presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).

9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass.,così come modificati dall’art. all’articolo 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124, nella parte in cui, sotto l’unitaria definizione di “danno non patrimoniale”, distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello “morale”).

10) Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell’uno come nell’altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria.

La decisione

Ebbene, nel corso del processo di primo grado, il tribunale aveva accertato in facto che la vittima dopo l’infortunio ed a causa dei suoi postumi, quantificati nella misura del 38% della complessiva validità dell’individuo, aveva smesso di “di frequentare gente, chiudendosi in casa”, oltre a rinunciare alle attività di cura della vigna e dell’orto; aveva dunque, qualificato questo pregiudizio come “danno dinamico relazionale” e ritenuto che esso imponesse un incremento del 25% della misura base del risarcimento del danno non patrimoniale, che sarebbe stata altrimenti liquidata.

In appello, invece, sebbene non fosse messo in discussione la circostanza che la vittima avesse subito un danno dinamico relazionale, dal momento che egli “aveva smesso di frequentare gente, chiudendosi in casa”, dall’altra parte, i giudici della Corte territoriale omettevano (volutamente) di liquidarlo, sul presupposto che tale pregiudizio fosse “compreso nel danno biologico”, e di conseguenza, la sua accertata esistenza non imponesse alcun incremento della misura base del risarcimento.

Ebbene si dice che in medio stat virtus, ma qual è la verità?

I giudici della Suprema Corte ritengono corretto e per nulla contraddittorio il giudizio d’appello, precisando che i pregiudizi relazionali rappresentano l’ubi consistam funzionale del danno alla salute. Ne deriva che è coerente con i princìpi sopra esposti, ritenere in facto, da un lato, che una certa conseguenza della menomazione sia comune a tutte le persone che quella menomazione patiscano, e, dall’altro, soggiungere in iure che quella menomazione non imponga di conseguenza alcuna personalizzazione del risarcimento.

Avv. Sabrina Caporale

 

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