Per il Consiglio di Stato non ci sono termini di decadenza per l’ordinanza di demolizione di un’opera abusiva, in quanto provvedimento repressivo di un comportamento illecito.

Abusi edilizi e termini per l’emissione dell’ordinanza di demolizione di un’opera abusiva. Il Consiglio di Stato si pronuncia con alcune precisazioni sul tema. Si tratta della sentenza n. 04243 del 6 settembre 2017 e riguarda un caso del 1966. All’epoca, un soggetto aveva costruito abusivamente una veranda nella sua casa e poi l’aveva accatastata.
Dopo il decesso della persona in causa, l’appartamento era stato assegnato alla figlia, in quanto erede.  Ed è stato in seguito alla segnalazione dei vicini di casa che, la Polizia Municipale, aveva accertato l’abuso edilizio. Si trattava di alcuni vetri, con cui la veranda era stata coperta.

Un’opera abusiva del 1966

L’erede dell’appartamento aveva spiegato che, l’oper,a era stata realizzata dal padre, quando era ancora in vita. Tuttavia, le era stato ordinato di rimuovere la costruzione abusiva. Per tanto, la donna ha deciso di impugnare il provvedimento del Comune, dinnanzi al Tar.
La sua difesa si è basata su una serie di argomenti, tra i quali il fatto che della costruzione edilizia abusiva era responsabile il padre, ad oggi defunto. Inoltre, la donna ha sottolineato che rimuovere l’opera abusiva avrebbe pregiudicato la vita del figlio e della sua famiglia, che viveva nell’appartamento.
E che, a suo parere, il diritto di porre in essere un’ordinanza di demolizione si era prescritto, essendo passati 44 anni dalla costruzione dell’opera. Il Tar, in risposta, ha confermato il provvedimento comunale.
I giudici hanno, infatti, sottolineato che, l’ordinanza di demolizione di un’opera abusiva, non necessita di particolare motivazione. Il provvedimento, infatti, non è discrezionale, ma vincolato. Unico elemento decisivo, perché possa essere realizzato, è l’accertamento dell’abuso edilizio.
Inoltre, a parere del Tar, non esistono termini di prescrizione che possano salvaguardare un’opera abusiva dalla sua rimozione. La proprietaria della casa ha, quindi, fatto ricorso al Consiglio di Stato. Ma, anche la risposta del tribunale amministrativo di secondo grado è stata sfavorevole alle sue istanze.

L’attività sanzionatoria della Pubblica Amministrazione

Il Consiglio di Stato ha quindi ribadito la mancanza di discrezionalità del provvedimento. Di fatto, l’attività sanzionatoria della Pubblica Amministrazione, essendo vincolata, non necessita di valutazioni sulle ragioni di interesse pubblico.
Inoltre, tale provvedimento, non prevede neanche una comparazione con gli interessi privati coinvolti e sacrificati. Né una motivazione sull’eventuale interesse pubblico concreto ed attuale. Per tanto, il Consiglio di Stato ha rigettato l’impugnazione proposta dalla proprietaria dell’appartamento.
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