Commento alla sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione, Sezione 4°, n° 53150/2017

Prima di addentrarci nell’analisi della sentenza in esame, risulta opportuno ad avviso di chi scrive illustrare brevemente la normativa dettata dal Legislatore, in materia di diritto alla salute del soggetto detenuto.
Orbene, la figura del soggetto detenuto-condannato, all’esito della trattazione del processo penale a suo carico, definito con sentenza divenuta irrevocabile, risulta disciplinata dalla Legge n° 354 del 26 luglio 1975, definita Legge sull’Ordinamento Penitenziario (d’ora in poi O.P.), che enuncia diritti, doveri e benefici del medesimo.
Ebbene, l’art. 39 co. 2 O.P. sancisce espressamente l’obbligo di sottoporre a costante controllo sanitario il soggetto detenuto, garantendo, di tal guisa, la propria tutela alla salute.
In particolare, la norma de qua sancisce la regola cautelare dell’obbligo in capo al sanitario di una certificazione, attestante il regime di compatibilità del detenuto con il sistema carcerario nonché la regola cautelare di sottoporre a costante controllo sanitario il detenuto, nel corso del periodo di espiazione della pena.
Ne consegue, dunque, che il sanitario del carcere deve sottoporre a visita medica il detenuto sia all’atto dell’ingresso in carcere, sia nel corso della detenzione, anche se manca una espressa richiesta del detenuto, e segnalare l’eventuale sussistenza di malattie che richiedono particolari cure, anche in strutture esterne all’istituto penitenziario.
Ancora, il diritto alla salute della persona in carcere risulta garantito anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dalla Convenzione EDU, che sancisce espressamente il divieto di sottoporre i detenuti a trattamenti disumani e degradanti; dalle Regole penitenziarie Europee e dalla deliberazione approvata dall’ONU nel dicembre del 1982, relativa ai “principi di etica medica per il personale sanitario in ordine alla protezione dei detenuti”, che sancisce l’obbligo in capo al personale medico in servizio presso l’istituto carcerario di prestare le dovute cure ai soggetti reclusi, proteggendo la loro salute fisica e mentale, affinché nei confronti dei medesimi venga assicurato il medesimo trattamento che sarebbe adottato nei riguardi di un soggetto libero.
Infine, risulta opportuno segnalare che, nell’ambito della elencazione delle fonti normative poste a fondamento del diritto inviolabile della salute del condannato, vi è altresì la Riforma della Medicina Penitenziaria, operata dal D.Lgs. n° 230/1999, che ha disposto il trasferimento della sanità all’interno degli istituti carcerari dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale.
Dunque, fatto questo breve excursus in tema di fonti normative che disciplinano il diritto alla salute del soggetto detenuto, analizziamo, ora quanto sottoposto al vaglio degli Ermellini.
Tizio, ferito da colpi di arma da fuoco esplosi dai carabinieri veniva dapprima ricoverato e poi, allorquando le sue condizioni di salute miglioravano, veniva trasferito presso il carcere ove scontava la propria pena in isolamento.
Improvvisamente, poi, il suo quadro clinico mutava in negativo e Tizio, all’esito di uno shock emorragico, decedeva.
Dunque, ai sanitari in servizio presso l’istituto di pena veniva ascritto in rubrica il delitto di omicidio colposo, in quanto nell’ottica accusatoria costoro avrebbero omesso di effettuare i dovuti accertamenti tecnici, cagionando la morte del detenuto (Tizio).
Il medico del carcere, pertanto, all’esito della celebrazione di un processo penale a suo carico, veniva dapprima condannato in primo grado e poi la Corte di Appello, in riforma della sentenza del Tribunale, assolveva l’imputato.
I parenti del detenuto, costituiti parte civile nel processo penale celebrato a carico del sanitario del carcere, adivano per i soli effetti civili la Suprema Corte che annullava la sentenza e rimetteva gli atti al giudice civile competente per valore, ritenendo che il medico, in ragione della storia clinica del detenuto, avrebbe dovuto monitorare con attenzione e visite approfondite il paziente e segnalare, in caso di necessità, al direttore del penitenziario la necessità di trasferire il detenuto presso un nosocomio specializzato.

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

 
Leggi anche:
REATO DI ABUSO DI UFFICIO, ECCO QUANDO PUO’ DIRSI CONFIGURATO
 

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui