Un pediatra e due specialisti sono stati condannati a risarcire quasi 1,2 milioni di euro per via di diagnosi errate su un bambino

Sono stati condannati a risarcire i danni per circa 1,2 milioni di euro i tre medici condannati per diagnosi errate su un bambino. È successo a Modena, dove il giudice del Tribunale Civile di Modena ha condannato un pediatra di base e due specialisti in pediatria per le diagnosi errate su un bambino affetto da macrocranìa, ovvero una crescita abnorme del cranio.
Nessuno dei tre medici si rese conto della gravità della situazione e adesso, il piccolo, deve vivere con danni irreversibili.
Il caso, molto grave, è stato infatti diagnosticato correttamente solo un anno e mezzo dopo la prima visita grazie ai medici della Pediatria del Policlinico, ma i danni erano già irreversibili e il ragazzo rimarrà segnato per tutta la vita.
Le conseguenze, per il giudice, saranno gravi sia sul piano emotivo che delle relazioni con gli altri, oltre che per le sue capacità lavorative e di gestire la sua vita quotidiana.
I genitori, che hanno avviato la causa, avevano chiesto quasi due milioni di euro di risarcimenti per il bambino e per loro. Il giudice, però, ne ha assegnati a tutti e tre poco più di un milione, da rivalutare in base agli interessi per gli anni trascorsi.
Il bambino, oggi adolescente, aveva manifestato i primi sintomi di una crescita anomala del cranio pochi mesi dopo la nascita. Il pediatra aveva segnato sul Libretto della Salute (un documento obbligatorio) che la misura era anomala, superiore a quella del 95% dei bambini coetanei. Pur facendo ciò, però, non ha mai prescritto nessuna visita specialistica.

Alla seconda visita, tre mesi dopo, il pediatra ha notato ancora l’anomalia della dimensione della testa ma ancora una volta non ha prescritto nulla.

Come dichiarato dal perito del giudice: “Il bilancio clinico, previsto nel Libretto della Salute per l’età di 14-15 mesi, non è stato fatto”.
Soltanto sei mesi dopo e su richiesta del pediatra, i genitori portano il bambino da uno specialista in neuropsichiatria infantile del Policlinico.
Il medico ha eseguito un elettroencefalogramma per poi consigliare una radiografia per valutare se c’è una rinofaringite. Secondo il perito del giudice però: “Non risulta che lo specialista abbia valutato i dati obiettivi risultanti dal Libretto della Salute”.
L’anomalia segnata dal pediatra resta ancora senza un nome, senza che venga prescritto nulla per capire cosa succede.
Bisognerà attendere altri due mesi perché avvenga un misurazione del cranio del bambino. Questa volta, i dati sono identici a quelli precedenti e segue l’annotazione: “Macrocefalia?”.
Il sospetto diventa sempre più una certezza ma, ancora una volta, non viene chiesto un approfondimento diagnostico o un consulto al reparto di Pediatria del Policlinico.
Altri due mesi dopo viene fatta una radiografia che si conclude con l’annotazione del pediatra: “Rachitismo?”.
Solo quando il piccolo viene ricoverato al reparto di Pediatria del Policlinico gli viene finalmente diagnosticata una patologia di idrocefalo.

Il giudice ha quindi sostenuto che solo da quel momento “l’iter diagnostico e terapeutico è stato appropriato”.

“Deve pertanto ritenersi come la condotta dei sanitari – prosegue il giudice – così come descritta e sintetizzata, sia risultata contraria alle “leges arti”, ovvero contraria alle norme della professione medica.
Come stabilito dal tribunale, quindi, il pediatra di base non ha valutato correttamente a partire dal settimo mese le evidenze. Lo specialista di neuropsichiatria infantile ha svolto una visita incompleta senza un approfondimento diagnostico.
Il secondo specialista, infine, non ha svolto una visita adeguata. Per questo il giudice ritiene che i tre medici abbiano una responsabilità in solido alla pari e li ha condannati per diagnosi errate su un bambino. Quanto al Policlinico, dovrà rispondere in solido solo per il primo specialista, suo dipendente.
Il calcolo dei danni patrimoniali e non patrimoniale, molto complessi in questo caso, si basa sulla considerazione del cosiddetto “danno differenziale” che è pari alla metà della condizione invalidante in cui attualmente versa il bambino.
Quanto al contribuito invalidante dei medici è calcolato al 25%. A questo si aggiungono tutte le spese e i disagi sostenuti dai due genitori (più la madre, come documentato) che hanno provocato circostanze gravi per l’intera famiglia.
Ne segue il calcolo finale e la condanna a risarcire in tutto un milione e 77 mila euro più interessi.
 
 
 
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