L’uomo, portato in Pronto soccorso con forti dolori al torace, venne dimesso con un antinfiammatorio. Morì dopo pochi giorni per un arresto cardiaco

Una “grave sottovalutazione” che sarebbe costata la vita al paziente. Questa la motivazione alla base del risarcimento disposto dal Tribunale civile di Milano in favore dei parenti della vittima . L’uomo venne portato in Pronto soccorso all’Istituto Sant’Ambrogio del capuluogo lombardo, a bordo di un’ambulanza, per un improvviso e fortissimo dolore al torace. Il medico di turno, dopo averlo visitato e sottoposto ad alcuni accertamenti, lo aveva dimesso con un antinfiammatorio da assumere in caso di dolore.

La vicenda, riportata da Repubblica, risale all’ultimo dell’anno del 2013. Il 4 gennaio, nonostante l’assunzione del medicinale per il perdurare del malessere, il malcapitato, 45enne padre di famiglia, viene colto da un arresto cardiaco.  Il tutto sotto gli occhi di uno dei figli, che si trova con lui in casa e che da quella tragedia rimarrà profondamente segnato. Nonostante i tentativi di rianimazione da parte del personale sanitario, viene constatato il decesso. A causare la morte – chiarirà una perizia medico legale – la dissecazione dell’aorta.

La famiglia decide quindi di fare causa alla struttura sanitaria.

Ne scaturisce una battaglia legale di tre anni che si è conclusa lo scorso marzo con la sentenza di condanna dell’Istituto. Secondo il magistrato “la patologia era già in corso all’epoca dell’accesso al pronto soccorso”. Tuttavia, non venne correttamente diagnosticata, “pur presentando il paziente segnali clinici che avrebbero dovuto porre in allarme il personale medico”. Il Giudice ha tenuto conto delle conclusioni di una perizia super partes in base alla quale “un diverso  e più attento approccio avrebbe garantito la sopravvivenza del paziente”.

Il Tribunale, quindi, ha quantificato l’entità del risarcimento tenendo conto del danno morale, ma anche di quello biologico e di natura psichica. I figli hanno subito pesanti conseguenze psicologiche dalla perdita del padre. La moglie, a sua volta, è stata costretta anche a doppi turni lavorativi per pagare le terapie necessarie ai due ragazzi. Di qui la disposizione di 300mila euro in favore della donna e 328mila per ciascuno ai due giovani. A questi sia aggiungono ulteriori indennizzi per la madre e il fratello della vittima. La cifra totale supera quindi il milione e 300mila euro.

Una liquidazione congrua, secondo i legali della famiglia. Gli avvocati, peraltro, sottolineano il merito della sentenza “di tratteggiare in modo chiaro i contorni dell’orientamento giurisprudenziale più recente, in un ambito particolarmente dibattuto e controverso come quello della medical malpractice”.

 

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