L’educazione è fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti e di presenza accanto ai figli, a fronte di circostanze che essi possono non essere in grado di capire o di affrontare equilibratamente

La precoce emancipazione dei minori frutto del costume sociale non esclude né attenua la responsabilità che l’art. 2048 c.c. pone a carico dei genitori, i quali, proprio in ragione di tale precoce emancipazione, hanno l’onere di impartire ai figli l’educazione necessaria per non recare danni a terzi nella loro vita di relazione, dovendo rispondere delle carenze educative a cui l’illecito commesso dal figlio sia riconducibile.

Lo ha affermato di recente il Tribunale della Spezia (sent. n. 138/2018) pronunciatosi su una vicenda che, ancora una volta, vede coinvolti minori autori di fatti penalmente rilevanti.

Il caso

Lo scoppio di alcuni petardi inseriti in una bottiglia, la notte di Capodanno aveva reso dei minori, tutti tredicenni, responsabili del reato di lesioni gravissime ai danni di un loro coetaneo colpito dalle schegge, ad un occhio.

Gli autori del fatto illecito stavano aspettando la fine del vecchio e l’inizio dell’anno nuovo in casa di un proprio compagno sotto la sorveglianza dei suoi genitori.

Senonché, dopo l’accaduto, i genitori della persona offesa, avevano agito in giudizio per vedere condannati tutti i ragazzi presenti al fatto, al risarcimento dei danni subiti dal figlio minore ai sensi dell’art. 2048 c.c., nonché, per quanto riguarda i genitori degli stessi, (anche) ai sensi dell’art. 2047 c.c. in quanto i minori erano stati affidati alla loro custodia e sorveglianza.

Tutti i convenuti si costituivano ritualmente in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande attrici e proponendo reciproche domande riconvenzionali subordinate.

La qualificazione giuridica delle domande e l’attribuzione di responsabilità

Parte attrice aveva dedotto la responsabilità ex art. 2047 c.c., che grava sul soggetto tenuto alla sorveglianza dell’incapace e la responsabilità ex art. 2048 c.c., che grava invece sui genitori per il danno cagionato dal fatto illecito commesso dai figli minori, nei confronti del loro figlio.

Entrambe le fattispecie costituiscono ipotesi di responsabilità extracontrattuale per fatto proprio (culpa in vigilando ovvero in educando) con presunzione di colpa, fino a prova liberatoria.

Ebbene, al fine di invocare una responsabilità ex art. 2047 c.c. a carico dei coniugi convenuti, in relazione ai minori dagli stessi ospitati, gli attori avrebbero dovuto dimostrare la totale incapacità di intendere e di volere di questi ultimi (compreso il proprio figlio) alla stregua dell’art. 2046 c.c.: in altre parole, ai fini di accertare una responsabilità ex art. 2047 c.c., – afferma il Tribunale di La Spezia – occorre la dimostrazione dell’irresponsabilità civile dell’incapace, che deve essere soggetto con un grado e un’intensità d’incapacità tale da risultare privo di quel minimum di attitudine psichica ad agire e a valutare le conseguenze del proprio operato (cfr. Cass. sez. III sent. n. 16661 del 6.7.2017: “In caso di azione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale proposta allegando l’imputabilità dell’evento lesivo alla condotta dell’autore dell’illecito, qualificata da dolo o colpa, grava sul danneggiante l’onere di allegare e provare l’esistenza, al momento del fatto illecito, dello stato di incapacità di intendere e di volere previsto dall’art. 2046 c.c., in quanto la imputabilità non integra un elemento costituivo della fattispecie di responsabilità aquiliana ma si pone come condizione soggettiva esimente della stessa.”).

Tale prova, afferma, il giudice investito della causa non è stata fornita.

Se infatti da un lato non può ritenersi necessaria, al fine di escludere o meno la capacità di intendere e di un minore di età, autore di un fatto illecito, una consulenza psicologica e pur potendosi trarre elementi nell’uno o nell’altro senso dalle modalità del fatto, dall’altro un’incapacità ex art. 2046- 2047 c.c. del minore non può essere affermata solo sulla base dell’età, neppure quando si tratti di minore degli anni quattordici (cfr. sul punto Cass. sez. III sent. n. 23464 del 19.11.2010).

La Suprema Corte ha più volte, al riguardo, precisato che devono essere presi in considerazione tutti gli elementi utili, anche meramente presuntivi (cfr., tra le altre, Cass. sez. III sent. n. 8740 del 26.6.2001: “Ai fini della responsabilità civile ex art. 2047 cod. civ. per danni cagionati da persone incapaci di intendere e di volere, il giudice non può limitarsi a tener presente l’età dell’autore del fatto ma deve anche considerarne lo sviluppo intellettivo, quello fisico, l’assenza di eventuali malattie ritardanti, la forza del carattere, la capacità del minore di rendersi conto dell’illiceità della sua azione e la capacità del volere con riferimento all’attitudine di autodeterminarsi”) e finanche il tipo di studi frequentati (Cass. sez. III sent. n. 565 del 30.1.1985).

Nel caso di specie, applicando i criteri sopra riportati elaborati dalla Suprema Corte in materia, non può ritenersi che i minori fossero totalmente incapaci di intendere e di volere al momento dei fatti.

Non è infatti pensabile che all’età di tredici anni, nella società attuale, ragazzi preadolescenti, che frequentano regolarmente e con buoni profitti la scuola media (come riferito anche dalle insegnanti), e che vivono una normale vita di relazione in riferimento alla sua età, uscendo da soli con gli amici fuori dal controllo diretto dei propri genitori almeno durante il giorno, non abbiano capacità di discernimento in riferimento alla propria quotidianità ed alle possibili conseguenze delle proprie azioni, ovvero ai pericoli che potrebbero derivare dalle attività e dai giochi dagli stessi espletati ovvero nei quali vengono coinvolti (del resto gli stessi genitori – tutti – hanno consentito ai rispettivi figli di maneggiare petardi evidentemente nella convinzione di un’acquisita capacità di discernimento da parte loro – diversamente sarebbero ancora più gravi i deficit educativi di ciascuno genitore nei confronti dei propri figli).

Né è logicamente sostenibile, secondo l’id quoad plerumque accidit, che a tredici anni, ragazzi evidentemente già adusi all’utilizzo di petardi, non siano in grado di comprendere i rischi derivanti dal maneggiarli ed a maggior ragione i rischi derivanti dall’uso improprio degli stessi ed ancora della necessità non solo di prestare adeguata attenzione all’accensione, ma anche di porsi immediatamente al riparo da possibili esplosioni, o cadute di scintille.

Esclusa quindi l’applicabilità dell’art. 2047 c.c. il comportamento dei coniugi convenuti, deve essere valutato alla stregua dell’art. 2043 c.c. per quanto attiene al dovere di sorveglianza assunto nei confronti dei ragazzi ospitati in casa propria.

È tuttavia, altrettanto pacifico che tale dovere di vigilanza debba essere inteso da un lato in maniera inversamente proporzionale all’età dei minori vigilati e dall’altro in senso non assoluto ma relativo, non essendo richiesta al sorvegliante una ininterrotta presenza fisica accanto al sorvegliato “qualora, avuto riguardo alle circostanze di tempo, di luogo, di ambiente, nonché ~ alla natura ed al grado di incapacità di questi, risultino correttamente impostati i rapporti dell’incapace col mondo esterno, sicché ~ appaia ragionevole presumere che non possano costituire fonte di pericolo per lo stesso e per i terzi” (così Cass. sez. 3, sent. n. 4481 del 28/03/2001).

La decisione

Conclude il Tribunale della Spezia, riprendendo il pacifico orientamento di legittimità che “la responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall’art. 2048 cod. civ., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico all’art. 147 cod. civ. ed alla conseguente necessità di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti ed a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito. Per sottrarsi a tale responsabilità, essi devono pertanto dimostrare di aver impartito al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini ed alla sua personalità, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la prova di circostanze (quali l’età ormai raggiunta dal minore e le esperienze lavorative da lui eventualmente avute) idonee ad escludere l’obbligo di vigilare sul minore, dal momento che tale obbligo può coesistere con quello educativo, ma può anche non sussistere, e comunque diviene rilevante soltanto una volta che sia stata ritenuta, sulla base del fatto illecito determinatosi, la sussistenza della “culpa in educando”. (così Cass. sez. III sent. n. 9556 de 22.4.2009)

In particolare i genitori devono offrire la prova di aver adempiuto ai doveri di educazione e formazione della personalità del minore, in termini tali da consentirne l’equilibrato sviluppo psico emotivo, la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale (Cass. sez. III sent. n. 18804 del 28.8.2009 la quale ha anche precisato che: “L’educazione è fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti e di presenza accanto ai figli, a fronte di circostanze che essi possono non essere in grado di capire o di affrontare equilibratamente“).

Avv. Sabrina Caporale

 

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