Era stato disposto il giudizio immediato nei confronti di un dipendente di Trenitalia. L’addebito era quello di: a) illecita detenzione ad evidente fine di spaccio di un’elevata quantità di sostanze stupefacenti; b) reato continuato di acquisto, con cadenza regolare, e detenzione con evidente fine di spaccio delle medesime sostanze

Dopo il rinvio al giudizio immediato, l’azienda aveva deciso di adottare un provvedimento espulsivo nei confronti del dipendente; provvedimento, prontamente impugnato.

In entrambi i giudizi di merito, l’istanza del lavoratore era stata accolta: si trattava di licenziamento illegittimo.

In particolare, secondo la Corte di appello la società avrebbe contestato «unicamente il dato processuale del rinvio a giudizio in sede penale, come appreso da pubblicazioni giornalistiche, senza effettuare alcuna indagine interna e senza enunciare profili soggettivi ed oggettivi tali da giustificare la massima sanzione espulsiva».

Tale statuizione non solo non coglie esattamente il contenuto della contestazione ma attribuisce alla stessa una funzione diversa da quella sua propria.

La contestazione dell’addebito ha, infatti, lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa; essa deve, quindi, contenere le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati.

Per la cassazione della sentenza d’appello agiva in giudizio Trenitalia. E, il suo ricorso è stato accolto.

Più volte la Cassazione ha ritenuto ammissibile, in quanto non lesiva del diritto di difesa, la contestazione formulata per relationem, mediante il richiamo agli atti del procedimento penale, del quale il lavoratore sia già stato portato a conoscenza, posto che il rinvio è idoneo a garantire il rispetto del contraddittorio e del principio di correttezza (Cass. nr. 10662 del 2014; Cass. nr. 23269 del 2017; Cass. nr. 25485 del 2017; Cass. nr. 6894 del 2018).

Nella fattispecie in esame, la società non aveva semplicemente contestato il fatto storico della pendenza del procedimento penale ma, piuttosto, i fatti materiali che di quel procedimento ne costituivano l’oggetto, rappresentati cioè dalla detenzione e spaccio di elevata quantità di sostanza stupefacente.

L’addebito di «detenzione e spaccio, con cadenza regolare, dal 2006, di elevata quantità di sostanze stupefacenti» costituisce, almeno in via astratta, giusta causa di licenziamento: trattasi di condotta che, oltre ad avere rilievo penale, è contraria alle norme dell’etica e del vivere civile comuni e che, dunque, ha un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro (cfr. Cass. nr. 24023 del 2016).

La legittimità del licenziamento del dipendente

Su un piano diverso e successivo si pone l’accertamento della condotta contestata e l’apprezzamento, in concreto, della gravità dell’addebito, rispetto al quale devono assumere rilievo tutti i connotati oggetti e soggettivi del fatto.

A tal riguardo, nella sentenza si fa espresso richiamo ad un altro principio ormai costante nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo il quale  «il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale [..] e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento […] potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale.» (Cass. nr. 2168 del 2013; cfr. anche Cass. nr. 1593 del 2017 e Cass. nr. 5317 del 2017).

La decisione della corte territoriale non si era attenuta ai citati insegnamenti di diritto arrestando, a monte, la sua indagine, sulla base di una erronea individuazione della condotta da sussumere nell’ambito della nozione legale di giusta causa.

La sentenza impugnata è stata, perciò, cassata con rinvio alla Corte di appello, in diversa composizione, affinché proceda ad un nuovo esame, tenendo conto che la contestazione di una condotta di detenzione e spaccio di elevata quantità di sostanze stupefacenti, con cadenza regolare è sussumibile, in astratto, nell’ambito della nozione legale di giusta causa ai sensi dell’art. 2119 cod.civ., avendo un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro.

La redazione giuridica

 

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