Arriva dall’Associazione italiana fisioterapisti una breve guida con alcuni consigli per scegliere il giusto percorso all’università e per i tirocini all’estero.

È stata realizzata da poco una guida Aifi per i futuri fisioterapisti. L’iniziativa è nata allo scopo di fornire consigli utili su università all’estero, titoli di studio conseguiti oltre confine, tirocini svolti in Italia e molto altro.

L’obiettivo che si è posta l’Associazione italiana fisioterapisti è proprio quello di orientare gli studenti che stanno per compiere scelte per la loro professione.

La questione, molto spesso, genera parecchia confusione. Il motivo? Di solito i percorsi effettuati in altri Paesi non sono spendibili nel nostro. O, nei casi peggiori, vengono considerati non validi. Una circostanza che obbliga i giovani a intraprendere ulteriori strade formative. Con un conseguente nuovo esborso di denaro.

Da qui nasce l’idea della guida Aifi per i futuri fisioterapisti.

“Prima di tutto – spiega Aifi – va ricordato che la legge 4 del 1999 prevede la cosiddetta ‘filiazione’, secondo cui ‘università o istituti superiori di insegnamento a livello universitario aventi sedi nel territorio di Stati esteri ed ivi riconosciuti giuridicamente quali enti senza scopo di lucro, possono svolgere in Italia parte dei propri corsi”.

Corsi che devono essere intesi come materie, e non come interi corsi di laurea, compresi i periodi di tirocinio, se prima dell’inizio della loro attività in Italia vengono trasmessi al ministero dell’Università, al ministero dell’Interno e al ministero degli Esteri alcuni documenti.

Questi, afferma Aifi, sono in primis la copia dell’atto con cui è stato deliberato l’insediamento in Italia.

Poi, la copia dello statuto e “ogni altra documentazione legalizzata dalla rappresentanza diplomatica o consolare italiana competente per territorio'”.

Nella guida Aifi per i futuri fisioterapisti si specifica che l’attività della filiazione è autorizzata con decreto del ministro dell’Università e si intende concessa “trascorsi 90 giorni dal ricevimento della comunicazione”.

E non è tutto. “Solo in questo caso, autorizzata cioè la filiazione – aggiunge l’Associazione – un Ateneo è legittimato a far svolgere il tirocinio formativo presso le strutture sanitarie italiane”.

In caso contrario, il tirocinio svolto potrebbe non essere valutato come utile ai fini didattici.

“Ne conseguirebbe – si legge nella nota –  l’impossibilità per il titolo formativo rilasciato dall’Università di ambire al riconoscimento”. E questo in quanto ritenuto non in grado di attestare “un livello di qualifica professionale equivalente al livello immediatamente precedente a quella prevista dalle normative nazionale'”.

Precisazioni importanti, quelle di Aifi, che intendono fare chiarezza su una questione spesso controversa.

“Allo stesso modo – prosegue Aifi – va ricordato che le strutture sanitarie utilizzate dall’Università straniera devono essere convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale, pena la non riconoscibilità del titolo”.

Infatti, secondo i dati diffusi dalla Conferenza di Servizi istituita presso il ministero della Salute, risulta che nessuna università abbia richiesto la necessaria autorizzazione.

Non solo. Alcuni Consolati e Ambasciate italiane all’estero hanno dichiarato con certezza che i periodi di tirocinio svolti in Italia, in assenza dell’autorizzazione prescritta, sono da considerare al di fuori del curriculum di studi.

Da questo deriva, prosegue Aifi “che il monte ore del percorso di studi è inferiore a quello previsto in Italia, il che rappresenta presupposto per applicare una misura compensativa, ovvero un ulteriore periodo di tirocinio o il superamento di una prova di esame, per i quali deve essere corrisposta una somma che varia in relazione alla misura compensativa applicata”.

“In alcuni casi- continua Aifi – le Autorità competenti del Paese di origine del titolo (ovvero le istituzioni che hanno la competenza su quella specifica professione) hanno dichiarato che determinate Università (private) non hanno avuto l’autorizzazione neanche nel Paese di origine. Le situazioni più critiche riguardano al momento università della Repubblica Ceca, dell’Ungheria, della Slovenia e della Spagna”.

Inoltre c’è da sottolineare che neppure la UE segue uno standard unico.

“Nel caso della professione del fisioterapista, infatti, le Direttive comunitarie sul riconoscimento dei titoli non prevedono un riconoscimento automatico. L’istanza deve quindi essere presentata al ministero della Salute, che valuterà ogni singolo caso per la decisione finale, così come previsto dalle normative”.

Dunque, alla luce di tali situazione, Aifi avverte i futuri fisioterapisti e li invita a fare attenzione nella scelta dell’università.

“Ecco perché – conclude Aifi – il consiglio è quello di richiedere informazioni dettagliate alle Autorità competenti (di solito i ministeri della Sanità), per verificare che le università in questione siano effettivamente riconosciute come tali ed autorizzate, e che la formazione non preveda un titolo il cui percorso formativo viene svolto in un terzo Paese”, conclude la nota.

 

 

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