L’informativa da dare al paziente è il punto centrale dell’attività medica, ma il consenso informato è presunto per un medico specialista?

Non informare il paziente, (…), è una condotta colposa che intanto può produrre un danno giuridicamente rilevante, in quanto impedisca al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole. Ma se il paziente sia già, per qualsivoglia causa, perfettamente consapevole delle conseguenze delle proprie scelte, mai si potrà pretendere alcun risarcimento dal medico che non lo informi: non perché la condotta di quest’ultimo sia scriminata ma perché qualsiasi conseguenza svantaggiosa dovrebbe ricondursi causalmente alle scelte consapevoli del paziente, piuttosto che al deficit informativo del medico.

Ad affermarlo è stata la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza quest’oggi in commento (Corte di Cassazione n. 7516/2018).

Una donna cita in giudizio l’Azienda ospedaliera presso la quale nel 1992 si sottopose ad un intervento chirurgico di sterilizzazione mediante chiusura delle tube. Nonostante l’intervento, due anni dopo, la donna concepì un figlio. La gravidanza espose a grave rischio la salute propria e quella del nascituro; tanto è vero che qualche mese dopo il parto, la stessa patì una flebite all’arto inferiore sinistro. Cosicché decise di citare in giudizio l’ospedale, denunciando di non esser stata informata sulle possibilità di insuccesso dell’intervento e, chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni patiti sia in conseguenza della gravidanza e delle sue complicanze (ascritte alla presunta imperita esecuzione dell’intervento); sia in conseguenza della carente informazione ricevuta sulla natura, rischi e sulle alternative dell’intervento di sterilizzazione cui veniva sottoposta.

Entrambi i giudici di merito rigettarono la domanda, ritenendo sufficientemente raggiunta la prova sia dell’avvenuta informazione, sia del fatto che l’intervento cui la paziente veniva sottoposta fu discusso e concordata tra quest’ultima e il medico e che, ella sapesse benissimo quali fossero la natura e i rischi connessi. Quindi il ricorso per Cassazione.

I giudici di legittimità precisano, sin da subito, che l’informazione dovuta dal medico al paziente circa la natura dell’intervento, i suoi rischi, i possibili benefici ad esso connessi, le possibili alternative terapeutiche, è coessenziale all’esercizio del diritto alla salute. Il titolare del diritto alla salute, infatti, non potrebbe compiere nessuna scelta consapevole, se non sapesse a quali conseguenze si esporrebbe adottando una terapia piuttosto che un’altra. Informare il paziente non è, dunque, – affermano – un mero atto formale, né un rituale inutile; ma allo stesso tempo aggiungono – che qualora il paziente conosca perfettamente quale sia l’intervento cui debba essere sottoposto, quali ne siano le conseguenze, i rischi e le alternative (ad esempio perché vi sia già stato sottoposto, oppure perché già informato da terzi o perché ha una competenza specifica su questa materia), l’eventuale inadempimento, da parte del medico, dell’obbligo di informarlo è giuridicamente irrilevante, per l’inconcepibilità di un valido nesso di causa tra esso e le conseguenze dannose del vulnus alla libertà di autodeterminazione.

Non informare il paziente equivale dunque, ad una condotta colposa del sanitario; ma questa, intanto può produrre un danno giuridicamente rilevante, in quanto impedisca al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole. Al contrario, qualora il paziente sia già, per qualsivoglia causa, perfettamente consapevole delle conseguenze delle proprie scelte, mai si potrà pretendere alcun risarcimento dal medico che non lo informi: non perché la condotta di quest’ultimo sia scriminata ma perché qualsiasi conseguenza svantaggiosa dovrebbe ricondursi causalmente alle scelte consapevoli del paziente, piuttosto che al deficit informativo del medico.

Avv. Sabrina Caporale

 

 

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