Il danno esistenziale è rappresentato da qualsiasi lesione di un diritto a copertura costituzionale, sia esso il diritto alla salute, sia esso altro diritto tutelato dalla Carta fondamentale

A distanza di neppure dieci anni dalle famose sentenze del 2008, ove la giurisprudenza delle Sezioni Unite affermava la natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale ( il danno esistenziale non esiste come categoria a sé stante (Cass. Civ., SS UU, 11 novembre 2008 n. 26972 e n. 26975) posto che il nostro ordinamento positivo non conosce altre distinzioni in materia se non quella tra danno emergente e lucro cessante (art. 1223 c.c.) e tra danno patrimoniale e non patrimoniale (art. 2059 c.c.). Il danno non patrimoniale consiste nella lesione di qualsiasi interesse della persona non suscettibile di valutazione economica, ha natura unitaria e omnicomprensiva (nel senso che il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati – danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale – risponde a esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno), e il suo accertamento e la successiva liquidazione costituiscono questioni concrete e non astratte, che non chiedono all’interprete la creazione di astratte tassonomie classificatorie, ma lo obbligano alla ricerca della sussistenza di effettivi pregiudizi”), la Suprema Corte di Cassazione torna a fare il punto della situazione. (Cass. Civ., III Sez., n. 901/2018).

I giudici ermellini pur ribadendo che sul piano generale il nostro ordinamento positivo riconosce due sole fattispecie di danno risarcibile nelle due forme (o se si preferisce, nelle due “categorie descrittive”) del danno emergente e del lucro cessante, e che pertanto bisogna dissociarsi da qualsiasi interpretazione diversa, foriera di “duplicazioni risarcitorie di incerta classificazione”, non dimenticano, al tempo stesso, di evidenziare che l’accertamento e la liquidazione del danno costituiscano questioni concrete e non certo astratte.

La natura c.d. “unitaria” del danno patrimoniale deve essere intesa come unitarietà rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica (Cass. Sez. Un. 26972/2008). In altre parole, essa sta a significare che non v’è alcuna diversità nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, della riservatezza, del rapporto parentale.

Natura onnicomprensiva sta invece a significare che, nella liquidazione di qualsiasi pregiudizio non patrimoniale, il giudice di merito deve tener conto di tutte le conseguenze che sono derivate dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici e di non oltrepassare una soglia minima di apprezzabilità, onde evitare risarcimenti cd bagattellari (Cass. 4379/2016).

È in quest’ottica che i giudici della Suprema Corte ribadiscono la reale natura e la vera costante duplice essenza del danno alla persona: la sofferenza interiore da una parte e le dinamiche relazionali di una vita che cambia dall’altra (illuminante, in tal senso, la disciplina sul reato di stalking). Cosicché – se di danno agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto che lamenti una lesione della propria salute (art. 32 Cost.) è lecito discorrere con riferimento al danno cd. biologico – di converso, per danno dinamico-relazionale, anche detto “danno esistenziale” deve intendersi qualsiasi lesione di un diritto a copertura costituzionale, sia esso il diritto alla salute, sia esso altro diritto (rectius, interesse o valore) tutelato dalla Carta fondamentale.

Nel caso di specie due coniugi citavano un giudizio un medico ginecologo, al fine di vederlo condannato al risarcimento del danno, nella duplice forma del c.d. danno biologico e del danno esistenziale per aver, con condotta gravemente negligente e imperita a lui addebitabile, cagionato la perdita della capacità gestazionale della donna a seguito di un intervento eseguito con tecnica di laparotomia addominale.

Restano così efficacemente scolpiti i due aspetti essenziali della sofferenza: il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana. Danni diversi e perciò entrambi autonomamente risarcibili, a condizione che sia provato caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni) e al di là di sommarie quanto impredicabili generalizzazioni. E se è lecito ipotizzare, come talvolta si è scritto, che la categoria del danno “esistenziale” risulti “indefinita e atipica”, ciò appare la probabile conseguenza dell’essere la stessa dimensione della sofferenza umana, a sua volta “indefinita e atipica”.

Avv. Sabrina Caporale

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