L’Ispettorato del Lavoro nella nota n. 7369 del 2018 annuncia la multa doppia se lo stipendio viene pagato in contanti. Ecco tutto quello che c’è da sapere

In arrivo una multa doppia per chi paga gli stipendi in contanti: lo annuncia l’Ispettorato del Lavoro nella nota n. 7369 del 2018, specificando in cosa consiste questa doppia sanzione.

Non solo è prevista una multa da 1.000 a 5.000 euro, ma anche quella da 3.000 fino a 50.000 euro per violazione del divieto d’uso del contante.

L’Ispettorato, facendo seguito alla precedenti note (nn. 4538 e 5828 del 2018), in ordine alle modalità di verifica dell’osservanza degli obblighi introdotti dalla Legge di Bilancio (art. 1, commi 910 – 913, L. n. 205/2017) e dell’effettività dei pagamenti realizzati mediante gli strumenti ivi indicati, annuncia la multa doppia.

Nella nota, si sottolineano le modalità di svolgimento delle verifiche ispettive che “sono, innanzitutto, volte ad escludere la corresponsione della retribuzione in contanti direttamente al lavoratore, attraverso l’acquisizione di prove anche documentali attestanti l’utilizzo degli strumenti di pagamento di cui al comma 910”.

Ebbene, nel caso in cui risulti dubbia l’effettiva corresponsione della retribuzione attraverso tali strumenti, gli organi di vigilanza possono procedere a ulteriori controlli.

Tali controlli si differenziano in base alle modalità di pagamento adottate.

L’Ispettorato ha già in una precedente nota chiarito che i trasgressori che violino l’obbligo in questione, rischiano una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 5.000 euro. L’applicazione di tale multa, però, prescinde dal numero di lavoratori interessati dalla violazione. Ciò significa che si rischiano, quindi, tante sanzioni quante sono le mensilità per cui si è protratto l’illecito.

A titolo esemplificativo, qualora la violazione si sia protratta per tre mensilità in relazione a due lavoratori, la sanzione calcolata ai sensi dell’art. 16 della L. n. 689/1981 sarà pari a euro 1666,66 (importo sanzione mensile) x 3 (mesi di violazione) = euro 5.000.

Ma non è tutto.

Nel documento, l’Ispettorato evidenzia anche che, laddove si riscontrino pagamenti in contanti per un importo mensile complessivamente pari o superiore a € 3.000, si configura la violazione dell’art. 49, comma 1, del d.Lgs. n. 231/2007.

La violazione è quella correlata alla normativa antiriciclaggio.

Essa a sua volta prevede sanzioni pecuniarie molto elevate per i trasgressori che vanno da 3.000 fino a 50.000 euro. I datori di lavoro che non rispettano la legge, dunque, potrebbero vedersi assoggettati a una multa doppia.

La violazione alla normativa antiriciclaggio andrà segnalata, ai sensi del successivo art. 51, comma 1, alle Ragionerie Territoriali dello Stato competenti in base al luogo ove è avvenuto il pagamento. Se ignoto, in base al luogo di accertamento, ai fini della contestazione, da parte degli organi competenti, dell’illecito amministrativo di cui al successivo art. 58.

Il divieto di pagamento in contanti, rammenta l’INL, riguarda ciascun elemento della retribuzione e ogni anticipo della stessa.

Inoltre, il pagamento con gli strumenti elencati alle lettere da a) a d) del comma 910, (bonifico, strumenti di pagamento elettronico, ecc.) si riferisce soltanto alle somme erogate a titolo di retribuzione.

Al contrario, non è obbligatorio l’uso di detti strumenti per la corresponsione di somme dovute a diverso titolo. Somme che potranno, quindi, continuare ad essere corrisposte in contanti.

Quanto alla indennità di trasferta, in considerazione della natura “mista” della stessa, si ritiene comunque necessario ricomprendere le relative somme nell’ambito degli obblighi di tracciabilità.

 

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