Oggi vorrei proporre ai lettori di Responsabile Civile qualche punto saliente di una serie di colloqui svolti in carcere con un uomo che ha abusato della figlia. Non è un trattato sull’incesto, né si scende in particolari clinici o tecnici. È semplicemente un report su un “caso” che come psicologa mi ha messa a dura prova e mi ha fatto riflettere sulle risorse e sui limiti del nostro sistema penitenziario.

Incontro C. nel carcere di XX, per un percorso di supporto psicologico. Lui è un uomo sulla quarantina e deve scontare 12 anni per abusi sessuali, che ha agito in 5 episodi sulla figlia di 9 anni. Tutti gli episodi di abusi sono stati filmati e inviati in dono a suo padre. Sono poi stati intercettati dal dipartimento di polizia postale che ha proceduto ad arrestare C.

C. appare come un uomo affettato, che utilizza un linguaggio colto e ricco, è particolarmente cerimonioso tanto da risultare una caricatura. In carcere sta vivendo un momento di grande isolamento, la violenza del luogo lo spaventa; i genitori sono morti, non ha amici nè parenti e si trova in una situazione economica precaria.

La storia di C.

C., a 10 anni, ha scoperto che è stato adottato. Fin dalla prima infanzia è stato abusato fisicamente e psicologicamente da suo padre: lo picchiava, lo costringeva  a fare pipì sul pavimento ed a leccarla. Inoltre, all’età di 11 anni, C. fu vittima di tre episodi di abusi sessuali da parte del padre. Oltre a subire gli abusi del padre, C. era vittima della condotta della madre di  “co-offender”:  ha assistito tutti gli abusi incapace di ribellarsi al marito e difendere il figlio. In un ricordo di C. la madre, impaurita per un’ennesima scenata del padre nei confronti del figlio, tenta di fuggire via di casa, la blocca C che le chiede disperato “che fine faccio se te ne vai?”. La figura del padre ha sempre intimorito C. che lo descrive come “dottor Jekyll e Mr. Hyde”: un uomo molto colto, che perseguiva e predicava una vita di grandi ideali, ma capace di trasformarsi in una “bestia” ed abusare del figlio in una maniera cruenta.

Quando aveva 30 anni, C. si sposa con una donna. Con lei C. avuto la sua prima e unica esperienza sessuale e nel corso del loro matrimonio una figlia per la quale C. stravede. Nel 2006 C. e la moglie si separano e C vede regolarmente la figlia  tre volte a settimana. Durante la separazione, il padre di C si ammala di cancro. All’inizio del 2015, quando il cancro peggiorava, il padre chiede al figlio un regalo: “Ora devi fare a tua figlia, quello che ho fatto a te”. Il padre ordina a C. di compiere degli abusi, filmarli e di portargli i video. Nella storia di C., la voce del padre è un vero e proprio elemento allucinatorio, che torna tuttora. C. compie tre episodi di abuso verso la figlia, che descrive come un sogno, un’esperienza di cui ricorda poco e male. Alla fine del terzo episodio C “si rende conto” di quanto ha compiuto e si ripromette di non toccare più la figlia, promessa che riuscirà a mantenere.

Durante il processo, l’esperto deputato all’ esame psichiatrico descrive C. in questi termini ” C. presenta un’organizzazione della personalità disfunzionale, con aspetti prevalentemente narcisistici ed istrionici e, allo stesso tempo, vi è una reazione ansiosa-depressiva, relativa al pensiero della carcerazione e le possibili conseguenze. Non è emerso un disturbo del pensiero, quindi non è possibile fare una diagnosi di disturbo psicotico. C. presenta importanti caratteristiche di immaturità e la tendenza a comportamenti impulsivi “. Durante i colloqui che ha svolto con me nel carcere, è, invece, emersa tutta l’ ideazione paranoide ed alcuni elementi allucinatori:  C. è convinto di essere spiato, vorrebbe sapere chi è che sta ordendo un piano nei suoi confronti. L’ideazione è caratterizzata da una serie di meccanismi di difesa come la dissociazione,  la negazione, lo spostamento. La dissociazione, che è una “temporanea alterazione nelle funzioni integrative di coscienza o identità”, emerge nella descrizione che fa C. degli episodi di abuso che pare compiere in uno stato di alterazione di coscienza. La negazione in C., emerge quando sostiene che la figlia non ha avuto traumi conseguenti all’abuso, constatazione dimostrata dal fatto (secondo C.) che la figlia sia particolarmente studiosa. Lo “spostamento”, consiste nel reindirizzare un sentimento o una risposta a un oggetto su un altro oggetto di solito meno minaccioso. C.  tenta di ottenere dalla figlia l’intimità, il rispetto, o il riconoscimento che è stato incapace di chiedere o ottenere da partner appropriati.

Il lavoro svolto nei colloqui ha mirato ad una svolta verso la “responsabilizzazione” rispetto agli eventi accaduti ed una sorta di tessitura della sua storia che appare essere un insieme di “pezzi” di vita, tutti staccati tra di loro. Il peso di essere stato vittima di abusi, è un’identificazione schiacciante per C. che pare essere sempre e comunque “una vittima”. Il suo eloquio frammentato, che salta da un punto ad un altro, è la trasposizione di un pensiero disintegrato, in cui la legge simbolica ha fatto cilecca ed ha regnato il reale sregolato e bizzarro di un padre-padrone.

Dopo circa 8 mesi accade che lo chiamo per il nostro colloquio settimanale, ma mi avvisano che lo hanno trasferito: il nostro lavoro si interrompe bruscamente.

 Anche la legge a volte è capricciosa come un padre-padrone.

Dr.ssa Ferrara Rosaria

(psicologa)

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