In materia di lavoro domestico, ossia quello tra persone legate da vincoli di parentela o affinità opera una presunzione di gratuità della prestazione lavorativa che trova la sua fonte nella circostanza che la stessa viene resa normalmente affectionis vel benevolentiae causa

Il principio è stato espresso dai giudici della Sezione Lavoro della Cassazione nella sentenza n. 30899/2018. A venire in discussione, l’esistenza di un rapporto di lavoro domestico tra era il rapporto di lavoro che si era instaurato tra un

La vicenda

La Corte di Appello di Trento, con sentenza aveva respinto il ricorso presentato contro la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso dell’istante diretto all’accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro domestico tra quest’ultima e l’erede, e asseritamente protrattosi dal 1973 fino al 2003. Ella chiedeva, pertanto, che le fosse riconosciuto il diritto ad ottenere tutte le prestazioni di legge conseguenti, oltre alla regolarizzazione della posizione contributiva e al risarcimento del danno, nell’ipotesi di prescrizione contributiva, maggiorata degli interessi legali e rivalutazione.

Si trattava di un lavoro intrattenuto tra affini.

Ci si deve allora domandare che valore assume questo tipo di lavoro? E ancora, può il rapporto di affinità esistente tra le parti, essere sufficiente ad escludere a priori la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti stesse?

A tal proposito, la convenuta deduceva che “in tema di prestazioni lavorative rese in ambito familiare – le quali vengono normalmente compiute affectionis vel benevolentiae causa – la parte che fa valere in giudizio diritti derivanti da tali rapporti è tenuta ad una prova rigorosa degli elementi costitutivi della subordinazione e dell’onerosità”, senza tenere nel debito conto il rapporto di affinità esistente tra le parti, che costituisce in casi analoghi un formidabile elemento di attenuazione dei fattori rilevatori della subordinazione, diversamente da quanto avverrebbe in un normale rapporto di lavoro subordinato tra estranei”.

Il giudizio della Cassazione

Secondo i giudici della Cassazione, la Corte di merito, avrebbe fatto corretta applicazione dei principi esistenti in materia.

La decisione impugnata – affermano – è del tutto in linea con gli arresti giurisprudenziali di questa Corte, laddove sottolinea che tra persone legate da vincoli di parentela o di affinità opera una presunzione di gratuità della prestazione lavorativa, che trova la sua fonte nella circostanza che la stessa viene resa normalmente affectionis vel benevolentiae causa; con la conseguenza che, per superare tale presunzione, è necessario fornire la prova rigorosa degli elementi tipici della subordinazione, tra i quali, soprattutto, l’assoggettamento al potere direttivo-organizzativo altrui e l’onerosità (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 8364/2014; 9043/2011; 8070/2011; 17992/2010; per ciò che più specificamente attiene a tutti gli indici di subordinazione, cfr., ex multis, Cass. n. 7024/2015).

Ed al riguardo, in particolare, i giudici di seconda istanza hanno motivatamente e condivisibilmente affermato che “le risultanze istruttorie non solo non hanno fornito alcun elemento per accertare il vincolo della subordinazione…, ma hanno dimostrato l’esatto contrario e cioè che l’attività” della ricorrente “in ambito domestico si inseriva in un menage familiare, in cui i fratelli si occupavano insieme del lavoro dell’azienda agricola e la ricorrente delle faccende di casa”.

Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso è stato rigettato.

 

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