La Corte di Cassazione fornisce chiarimenti in merito al licenziamento senza preavviso del dipendente che commette atti dolosi molto gravi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1749 del 24 gennaio 2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni in merito al licenziamento senza preavviso dei dipendenti pubblici.

La vicenda

Nel caso di specie, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata la domanda proposta da un dipendente del Ministero degli Esteri.

Tale domanda era finalizzata a ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento che gli era stato intimato senza preavviso.

Nello specifico, la Corte d’appello ha ritenuto provata la condotta addebitata al lavoratore.

A quest’ultimo era stato contestato di non aver svolto i propri compiti con l’adeguata diligenza.

Pertanto, doveva ritenersi sussistente la fattispecie della “ripetuta e grave negligenza di inosservanza dei doveri di ufficio”, di cui agli artt. 164 e 166 del D.P.R. n. 18 del 1967.

Secondo la Corte, tale condotta era “tale da legittimare il recesso, avuto riguardo alla delicatezza dei compiti affidati al lavoratore nella materia particolarmente “sensibile” dell’immigrazione dalla Tunisia all’Italia, compiti richiedenti massima attenzione per fronteggiare il notorio fenomeno dell’immigrazione clandestina”.

Il lavoratore ha quindi fatto ricorso in Cassazione per ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, ai sensi degli artt. 164 e 166 del D.P.R. n. 18/1967 e degli artt. 1362 e 1365 c.c., il licenziamento senza preavviso poteva considerarsi legittimo. Ma “nelle sole ipotesi di condotte estremamente gravi connotate dall’elemento del dolo”.

Inoltre, per il lavoratore

Osservava il ricorrente che, nel caso di specie, la Corte d’appello aveva errato nel ricondurre il dolo del lavoratore nella “mera consapevolezza della condotta, prescindendo dall’elemento della intenzionalità e per avere trascurato la valutazione del suo curriculum professionale e delle note di encomio, l’assenza di provvedimento disciplinari, l’esame delle linee guida per il rilascio dei visti”.

La Cassazione ha rigettato il relativo ricorso, ritenendolo infondato.

Per gli Ermellini, “la valutazione della condotta del ricorrente formulata nella sentenza impugnata” era perfettamente conforme alla disposizione di cui all’art. 166 D.P.R. n. 18/1967, “che punisce con il licenziamento senza preavviso la ‘commissione in genere di atti o fatti dolosi di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro’”.

Scrivono i giudici che la Corte d’appello aveva “fondato il giudizio di gravità della condotta addebitata sulla circostanza che, con riferimento a cinque pratiche, l’odierno ricorrente: ne aveva consapevolmente (in tal senso doveva essere inteso il riferimento alla “dolosità degli atti contenuto nella contestazione disciplinare) consentito la loro ammissione, in violazione delle modalità prescritte dalla normativa interna; non aveva effettuato i controlli della documentazione, a fronte della presenza di dati anomali ed incongruenti evincibili dai documenti stessi; aveva dato seguito alle pratiche senza segnalare le anomalie al back-office; aveva garantito la personale conoscenza dei richiedenti il visto ed addirittura il rientro in patria”.

Non solo.

Ricordano gli Ermellini che la Corte d’appello aveva qualificato la condotta del lavoratore “come particolarmente grave, e tale da legittimare l’applicazione della sanzione risolutiva”.

Ciò dal momento che il lavoratopre aveva commesso gravi negligenze con consapevolezza e nonostante la delicatezza dei compiti affidatigli.

In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal ricorrente, confermando integralmente la sentenza.

 

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