Linee guida applicate correttamente: con la legge Balduzzi il medico è tutelato. Lo stabilisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38534/2017

Secondo quanto disposto dalla legge Balduzzi, in tema di responsabilità medica, le linee guida applicate correttamente operano come direttiva scientifica per colui che esercita le professioni sanitarie costituendo una sorta di scudo avverso tutte quelle istanze punitive che non siano rivolte ad errori gravi.
Questa la decisione della IV Sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 38534, depositata il 2 agosto 2017 .

Il caso

i ricorrenti erano stati tratti a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen., perché, in cooperazione colposa tra loro, nelle loro rispettive qualità di medico chirurgo e di anestesista presso una casa di cura, cagionavano per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia ed inosservanza delle regole della scienza medica la morte di una donna di anni 74, sottoposta ad intervento di artrodesi e liberazione del canale vertebrale lombare, per grave shock emorragico da massiva perdita ematica. In particolare per aver omesso il medico chirurgo, nonostante il previsto elevato rischio di emorragia legata al tipo di intervento, di interrompere l’intervento stesso a seguito di una massiva emorragia, peraltro già manifestatasi con grosse perdite ematiche poco dopo l’inizio dell’operazione, al fine di ricollocare la paziente in posizione supina e porre in essere le misure del caso, che venivano in parte tardivamente adottate soltanto al termine dell’intervento avvenuto alle 18,30 in condizione di shock emorragico già da tempo instaurato e quindi irreversibile.
L’anestesista invece, avrebbe omesso di effettuare prima dell’intervento l’incannulazione di una vena centrale per poi iniziare l’intervento con il monitoraggio cruento della paziente mediante incannulazione di una vena periferica e per aver inoltre omesso nel corso dell’intervento di monitorare la diuresi e la temperatura corporea, di eseguire esami di laboratorio più precoci, di predisporre le adeguate riserve ematiche per la trasfusione e altresì ometteva, pur in presenza di una massiva emorragia, peraltro già manifestatasi con grosse perdite ematiche all’inizio dell’intervento, di farlo interrompere, per mettere la paziente in posizione supina, incannulare una vena centrale, ricorrere ad infusioni quantitativamente adeguate, richiedere e utilizzare tempestivamente quantità idonee di sangue, di plasma e di albumina in misura proporzionata alle perdite e provvedere alla somministrazione precoce di dopamina e/o dobutamina e/o adrenalina per sostenere la funzione inotropa ed aumentare la frequenza cardiaca.
La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado condannando entrambi i sanitari per il reato previsto e punito dagli artt. 113 e 589 c.p. per avere, in cooperazione colposa tra loro, cagionato la morte della paziente.
Avverso tale pronuncia gli imputati ricorrono in Cassazione.

La legge Balduzzi

Oggetto di censura è, tra gli altri, il diniego dell’applicazione della innovazione normativa introdotta con la c.d. L. Balduzzi.
In primo luogo la Suprema Corte ha sottolineato come del tutto carente appaia la motivazione della gravata sentenza in ordine al ritenuto nesso causale; in particolare, non sembra in alcun modo effettuata l’esplicazione del c.d. giudizio controfattuale e la individuazione del momento dal quale doveva essere calcolato il tempo utile ad un eventuale intervento salvifico, nonché delle ragioni per le quali la sentenza impugnata ha ritenuto che questo avrebbe avuto valenza impeditiva rispetto all’evento luttuoso.
Ed infatti, secondo la Cassazione, la valutazione controfattuale, demandata al giudice di merito, deve avvenire rispetto al “singolo comportamento storico”, alla “singola situazione storica”, alla “singola conseguenza storica” (Sez. 4, sent. n. 30469 del 13/06/2014, PG, PC in proc. Jann ed altri, Rv. 262239) e i termini di fatto ai quali deve riferirsi il giudice penale, nel verificare la sussistenza di elementi indicativi della riferibilità causale dell’evento alla condotta attiva od omissiva posta in essere dall’agente, sono necessariamente quelli riportati nel capo di imputazione, che delinea e delimita la specifica sequenza fenomenologica, nell’ambito della quale si assume che la condotta attesa abbia determinato la verificazione dell’evento dannoso, come realizzatosi.
Del resto la stessa Sezione ha più volte ribadito che il giudice di merito deve analizzare la condotta (attiva od omissiva) colposa addebitata al sanitario, per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, rispetto agli specifici termini di fatto della vicenda, l’evento lesivo sarebbe stato evitato “al di là di ogni ragionevole dubbio” (cfr., ad es., sent. n. 43459 del 04/10/2012, Rv. 255008).
Più recentemente, sempre la IV Sezione (cfr. sent. n. 30469 del 13/06/2014, citata) ha affermato il principio secondo il quale: “nei reati omissivi impropri, la valutazione concernente la riferibilità causale dell’evento lesivo alla condotta omissiva che si attendeva dal soggetto agente, deve avvenire rispetto alla sequenza fenomenologica descritta nel capo d’imputazione, di talché, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice di merito in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale”.
Questi principi sono stati ulteriormente confermati nel noto arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite, che, riprendendo sul punto Sezioni Unite Franzese del 2002, hanno affermato che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, aggiungendo che esso deve, a sua volta, essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (cfr. Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261103, Espenhanhn).
Un ulteriore profilo di criticità della sentenza impugnata è rappresentato dall’omesso esame del novum normativo costituito dalla L. n. 189 del 2012 che esonera da responsabilità il terapeuta, in caso di colpa lieve, quando egli si sia attenuto ad accreditate linee guida o ad affidabili pratiche terapeutiche. Il tema è stato già diffusamente esaminato dalla Suprema Corte ( cfr. Sez. 4, Cantore, 29/01/2013, Rv. 255105).

Linee guida applicate correttamente

A tal proposito si è affermato che il professionista che inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali con riguardo ad una patologia e che, tuttavia, non persegua correttamente l’adeguamento delle direttive allo specifico contesto, o non scorga la necessità di disattendere del tutto le istruzioni usuali per perseguire una diversa strategia che governi efficacemente i rischi connessi al quadro d’insieme, sarà censurabile, in ambito penale, solo quando l’acritica applicazione della strategia ordinaria riveli un errore non lieve.
Appare evidente la premura del legislatore nei confronti della complessità e difficoltà dell’ars medica che, sovente, si trova dinanzi a casi particolari e complessi nei quali si intersecano spesso imponderabilmente diversi rischi o, comunque, specifiche rilevanti contingenze. In questi casi la valutazione ex ante della condotta tenuta dai sanitari, tipica del giudizio sulla colpa, dovrà essere messa in rapporto alla difficoltà delle valutazioni richieste al professionista stesso e pertanto, il sanitario complessivamente avveduto ed informato, attento alle linee guida, non sarà rimproverabile quando l’errore sia lieve, ma solo quando esso si appalesi rimarchevole.
In base ai principi della nuova legge, pertanto, le linee guida accreditate operano come direttiva scientifica per l’esercente le professioni sanitarie; e la loro osservanza costituisce una sorta di scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamento del sapere codificato alle peculiarità contingenti.
Ebbene, secondo gli Ermellini, nel caso de quo nessun elemento viene indicato per ritenere che si sia in presenza di colpa grave, né emerge se i sanitari si siano attenuti o meno alle accreditate linee guida nell’esecuzione dell’intervento, l’entità di un eventuale distaccamento dalle stesse, anche con riferimento alla particolarità del caso concreto che presentava notevoli criticità.
Per queste motivazioni la Cassazione ha annullato l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze.

Avv. Maria Teresa De Luca

 
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