Ai fini dell’integrazione del reato di lottizzazione abusiva, di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. 380/2001, (…) la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche quando il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia (oltre che inefficace, inesistente o illecito) illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia sostanziale 

Avevano costruito in assenza di permesso di costruire, gli indagati sottoposti a procedimento penale, con provvisoria contestazione del reato di lottizzazione abusiva di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

L’accusa aveva disposto il sequestro preventivo in via d’urgenza, poi convalidato dal GIP di Savona; successivamente, tale provvedimento, era stato revocato dal Tribunale del riesame della stessa città.

Avverso l’ordinanza aveva proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica, lamentando l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonché il vizio di contraddittorietà, manifesta illogicità e mancanza della motivazione.

I fatti

I lavori erano stati eseguiti in una zona sottoposta a tutela paesaggistica ambientale (in quanto ricadente, tra l’altro, nella fascia di 300 mt. dalla linea della battigia) ed in forza di permesso di costruire illegittimo perché rilasciato, per plurimi profili, in violazione dell’art. 338 r.d. 1265 del 1934 (Testo Unico Leggi Sanitarie). Si trattava dunque, di opere poste in essere in assenza di permesso di costruire; circostanza che non poteva certo essere equiparata alla mera assenza dello stesso provvedimento amministrativo.

Per quale motivo il Tribunale avrebbe escluso l’esistenza del fumus del reato contestato?

Peraltro è noto come, l’orientamento seguito dal tribunale del riesame e contenuto della ordinanza di revoca, era stato ormai superato da tempo.

Nelle sentenze di legittimità più recenti si legge espressamente, che il reato di costruzione sine titulo è ravvisabile in tutti i casi in cui il permesso di costruire formalmente rilasciato non sia conforme alla disciplina urbanistica ed a quella che regola il rilascio del provvedimento, sicché – laddove il vizio sia eclatante e significativo di una condotta quantomeno colposa, come avvenuto nel caso di specie- non potrebbe disconoscersi la sussistenza del reato ipotizzato.

Il ricorso per Cassazione

Con sentenza n. 56678/2018, i giudici Ermellini si sono espressi sulla vicenda in esame, riportando i due orientamenti maggiormente accreditati in materia.

Secondo un primo orientamento (sent. Sez. 3, n. 7423/2014) l’illegittimità del titolo non sarebbe assimilabile alla mancanza se non nel caso di atto inesistente, adottato da un soggetto non legittimato, ovvero di vizio macroscopico tale da sconfinare il campo della mera illegittimità e sfociare in quello della illiceità. Secondo altro orientamento, tutti i profili di conformità del titolo rilasciato alla normativa di riferimento dovrebbero essere presi in considerazione dal giudice penale ai fini della valutazione della legittimità quale elemento normativo di fattispecie.

L’ordinanza impugnata aveva optato per il primo indirizzo, laddove chiariva che “il permesso di costruire è affetto da “violazioni certamente rilevanti, ma che rimangono certamente nell’alveo della mera illegittimità senza sconfinare nella inesistenza o nella illiceità (o criminosità) ” e per questo ha escluso il fumus del reato ipotizzato e revocato il sequestro preventivo dell’immobile.

La soluzione della fattispecie in esame, è interessante perché conduce alla riflessione su di un altro tema: quello del sindacato del giudice penale sul provvedimento amministrativo, quale elemento costitutivo del reato urbanistico.

Inizialmente la questione era stata posta con riguardo alla contravvenzione di costruzione in assenza di concessione edilizia, un tempo prevista dall’art. 17, lett. b, l. 28 gennaio 1977, n. 10 (c.d. legge Bucalossi), successivamente inserita nell’art. 20, primo comma, I. 28 febbraio 1985, n. 47 (c.d. legge sul condono edilizio) e poi confluita nell’art. 44, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. Testo Unico in materia Edilizia), che – tra l’altro – punisce oggi le attività di trasformazione del territorio eseguite in assenza di permesso di costruire.

Ebbene, se la giurisprudenza non ha mai avuto dubbi nel ritenere il reato di costruzione sine titulo punito ai sensi della lettera b) della fattispecie incriminatrice (o della lettera c), se l’abuso ricada in zone vincolate) quando vi sia un titolo abilitativo inefficace (ad es., quando i lavori siano stati eseguiti una volta decorsi i termini di efficacia del permesso di costruire), vi sono state iniziali incertezze su quale sorte il diritto penale riservi a chi costruisca in base ad un provvedimento amministrativo illegittimo.

Ecco trovato il nodo gordiano!

Dopo un lungo excursus giurisprudenziale, la Cassazione è giunta ad affermare che “in un sistema, come quello attuale, che, da un lato, consente di iniziare i lavori dopo 30 giorni dalla presentazione dalla s.c.i.a. alternativa al permesso di costruire se non intervenga un ordine motivato di non effettuare l’intervento (cfr. art. 23, comma 6, d.P.R. 380/2001) e che, d’altro lato, codifica il principio secondo cui (salvo che nelle zone vincolate) l’inerzia degli uffici comunali sull’istanza di rilascio del permesso di costruire – inerzia magari giustificata dall’inefficienza, dovuta anche all’endemica carenza di personale – equivale a rilascio del provvedimento “tacito” per silenzio-assenso (v., in particolare, art. 20, comma 8, d.P.R. 380/2001), il perfezionamento dell’iter amministrativo che conduce alla formazione del titolo non assicura che vi sia effettivamente stata quell’attività di controllo funzionale alla tutela dell’interesse sostanziale protetto che aveva evidentemente a suo tempo ispirato la formulazione della norma incriminatrice”.

È anche vero però,– aggiunge – che, in conformità a quanto previsto per la s.c.i.a. (v. artt. 23, comma 1, e 29, comma 3, d.P.R. 380/2001) e diversamente dall’originaria disciplina dell’iter procedurale del permesso di costruire, è stata rafforzata, con la previsione del nuovo delitto di falso ideologico di cui all’art. 20, comma 13, d.P.R. 380/2001, l’autoresponsabilità del privato, sanzionandosi la falsa attestazione, da parte di un soggetto professionalmente abilitato, di conformità del progetto (tra l’altro) “agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie” (art. 20, comma 1, TUE).

Va peraltro, tenuto conto che il delitto in esame, è punito soltanto a titolo di dolo e che l’interpretazione della disciplina urbanistica non è sempre agevole, ciò tuttavia non basta ad inficiare la più generale conclusione secondo cui il perfezionamento tacito del necessario titolo giuridico non garantisce che sia stata ragionevolmente accertata la conformità dell’opera alla normativa urbanistico-edilizia sostanziale.

Il principio di diritto

Cosicché, alla luce di queste premesse, vengono affermati i seguenti principi di diritto:

ai fini dell’integrazione dei reati di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. 380/2001, fatta salva la necessità di ravvisare in capo all’agente il necessario elemento soggettivo quantomeno colposo, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche quando il titolo, pur apparentemente formato, sia (oltre che inefficace, inesistente o illecito) illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia sostanziale di fonte normativa o risultante dalla pianificazione;

in tali casi, la “macroscopica illegittimità” del permesso di costruire non è condizione essenziale per la oggettiva configurabilità del reato, ma l’accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell’elemento soggettivo anche riguardo all’apprezzamento della colpa;

nel procedimento di riesame di provvedimenti cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al “fumus” del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, sicché può rilevarsi anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, qualora esso emerga “ictu oculi“.

 

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