Il caso di Corinaldo: ancora minori sulle prime pagine di cronaca. Responsabilità penale, colpevolezza e imputabilità, quali sono le differenze? 

“Che cosa volete che vi dica? Stasera qui è morto il mio migliore amico”. “Abbiamo visto dei corpi stesi per terra, coperti da teli bianchi …” E’ parte della testimonianza di uno dei minori coinvolti nel crollo del ponteggio adiacente la discoteca Lanterna Azzurra di Corinaldo lo scorso 8 dicembre 2018.

La cronaca degli ultimi tempi ha come protagonisti sempre più spesso i minori.

Riempiono spazi televisivi, format e talk show di tutti i canali; compaiono nelle prime pagine delle testate giornalistiche nazionali e locali, quasi sempre come autori di fatti di disvalore penale, sociale, morale e perché no etico.

Il dato che più si rileva, tuttavia, è che essi non sono soltanto gli autori ma, nella stessa percentuale casistica (o almeno molto approssimativamente) sono anche vittime dei loro stessi atti, o di quelle dei propri compagni, conoscenti o sconosciuti, non importa … purché si tratti di coetanei.

Sarà un caso?

L’attualità degli ultimi giorni richiama con una certa urgenza, il senso critico di intellettuali, studiosi e, in generale, di tutti gli operatori del diritto in materia di responsabilità.

L’accaduto della discoteca della Lanterna Azzurra di Corinaldo ne è purtroppo un triste esempio.

Uno spray al peperoncino, migliaia di ragazzi riuniti in un locale per divertirsi al concerto di un loro idolo, decine di feriti, 5 morti, genitori distrutti e tanta gente traumatizzata nel corpo e nella mente.

Di che cosa stiamo parlando? E quali sono le responsabilità addebitabili ai minori?

La responsabilità penale

Occorre sin da subito premettere che il nostro ordinamento distingue a seconda che si tratti di minori degli anni 14 e persone che hanno età compresa tra i 14 e i 18 anni.

Nel primo caso, l’autore del reato non è punibile; ciò non toglie la possibilità che il giudice minorile decida di sottoporlo all’applicazione di una misura di sicurezza, qualora lo reputi soggetto socialmente pericoloso. In tal caso, egli potrebbe ricorrere all’istituto della libertà vigilata o del ricovero in riformatorio.

In astratto è prevista anche la possibilità che le misure di sicurezza siano applicate a soggetti di età inferiore ai 14 anni. In questi casi gli strumenti ammissibili sono il ricorso all’istituto della libertà vigilata o il collocamento in comunità. Sono, tuttavia, delle ipotesi soltanto astrattamente previste dall’ordinamento, posto che raramente trovano applicazione della pratica giudiziaria.

Se il minore ha invece, età compresa tra i 14 e i 18 anni egli potrà essere giudicato imputabile all’esito di un giudizio positivo – posto in essere attraverso l’ausilio di psicologi o psichiatri –che accerti la sua capacità di intendere e di volere.

“Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato, se al momento in cui lo ha commesso non era imputabile”.

È quanto dispone l’art. 85 del nostro codice penale.

La norma così facendo, introduce il concetto di imputabilità. L’imputabilità è il presupposto minimo per l’attribuzione della penale responsabilità a carico di un individuo. Essa è l’equivalente della maturità del soggetto cui può essere mosso il rimprovero penale disposto dall’ordinamento, come conseguenza del fatto di reato.

Il comma secondo chiarisce che è “imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.

Ciò vuol dire che se il presupposto primario della responsabilità penale è l’imputabilità, parimenti deve dirsi per la capacità di intendere e di volere. Un soggetto intanto può essere assoggettato ad una sanzione penale, in quanto è in grado di determinarsi al punto di comprendere il significato delle sue azioni e ha il potere di controllare i propri impulsi.

Tale impostazione rileva subito un ulteriore problema, cui è essenziale rispondere.

La colpevolezza è necessariamente legata alla imputabilità o si può essere colpevoli pur senza essere imputabili?

È proprio quello che ci si domanda quando si ha a che fare con minori, autori di fatti di reato. Ciò in quanto la legge presuppone che la capacità di intendere e di volere sia presunta (intendendo per presunzione quel fatto noto che l’ordinamento utilizza per risalire ad un fatto ignoto, attraverso un ragionamento logico-deduttivo) al raggiungimento della maggiore età; residuando, tuttavia, la possibilità di una ulteriore valutazione caso per caso.

In verità la risposta è già contenuta nelle righe precedenti.

Chiarito che il minore degli anni 14 non è imputabile, ciò non toglie che esso possa essere valutato come oggetto socialmente pericoloso (cui seguirà l’applicazione delle misure di sicurezza citate).

La ragione sta nel fatto che se l’imputabilità attiene ad un modo di essere della persona in ragione della sua maturità psichica e mentale; la colpevolezza attiene al rapporto tra il volere del soggetto e un determinato atto.

Quanto ai minorenni, a parere di chi scrive, il legislatore non ha mai colmato un vuoto. Non è mai intervenuto cioè a differenziare, da un punto di vista sostanziale, il trattamento penale del minore autore del reato, confinando tutta la questione all’alternativa: imputabilità/difetto di imputabilità.

La realtà è che vi sono delle situazioni particolari che richiederebbero l’applicazione non di concetti astratti, ma di nozioni plasmabili e aperte alle diverse esigenze.

Certo è anche vero come qualcuno osserva (VIGONI) che il compito del legislatore non è semplice quando si appresta a definire le soglie della imputabilità o della non imputabilità rilevanti ai fini penali. E l’utilizzo delle presunzioni non sempre è risolutivo.

Il nodo da sciogliere è capire quando il minore può “entrare” nel mondo penale e quando ciò è precluso.

Si tratta di una valutazione che dovrebbe essere vagliata caso per caso; ma ciò contrasterebbe col nostro sistema improntato al principio della certezza del diritto e pertanto, composto di norme generali e astratte.

Ebbene, tale soglia è stata fissata al compimento degli anni 14.

Non deve dimenticarsi, tuttavia, che è lo stesso codice penale che in materia di testimonianza non pone alcun limite alla capacità del minore ad essere ascoltato davanti all’autorità giudiziaria anche se di età inferiore ai 14 anni. La stessa Suprema Corte ha affermato che l’età non può essere considerata un limite. (Cass. sent. Sez. III, n. 19789/2003)

E allora come si giustificano questi due parametri di valutazione? Non si sta parlando pur sempre di minori?

La risposta è semplice: la capacità di testimoniare (che peraltro, presuppone sempre un giustizio di credibilità e attendibilità da parte del giudice) è cosa ben diversa dalla capacità (intesa come piena consapevolezza) di delinquere e dunque di entrare in un sistema da cui dipenderà la sua libertà personale.

Non bisogna dimenticare anche, che l’intero sistema “punitivo” minorile è esso stesso improntato alla salvaguardia dell’integrità della crescita futura del minore (oltre alla rieducazione); non a caso sono previsti tutta una serie di istituti ce cercano di evitare la pronuncia di una sentenza di condanna, come il perdono giudiziale, l’irrilevanza del fatto e la stessa dichiarazione di non imputabilità del minore.

 Avv. Sabrina Caporale

 

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