I giudici della Cassazione hanno chiarito che ad escludere la colpa del conducente che viola i limiti di velocità non è sufficiente che lo sforamento di tale limite sia stato minimo; dunque, la multa è valida

Nel 2015, il Tribunale di Chieti aveva rigettato l’appello proposto da un Comune della provincia contro la sentenza del giudice di primo grado che, in accoglimento dell’istanza proposta dalla ricorrente, aveva annullato la multa elevata dalla Polizia Municipale per violazione dell’art. 142, comma 7, cod. strada.
La violazione era stata accertata a mezzo autovelox posizionato sulla strada provinciale, in un tratto del territorio del Comune appellante.
Il tribunale aveva rilevato che in quel tratto di strada, vi era adeguata segnalazione della postazione di controllo della velocità, ma mancava l’elemento soggettivo della colpa in capo alla conducente, tenuto conto della ridottissima velocità eccedente il limite massimo (2 km/h) e dell’abbattimento in percentuale previsto dalla legge.

Il procedimento proseguiva davanti ai giudici della Cassazione.

Il Comune sottolineava l’incongruità dell’argomento utilizzato dal Tribunale per supportare la sua decisione.
Ebbene, a fronte dell’accertato superamento del limite di velocità e previo rilievo che la postazione di rilevamento era adeguatamente segnalata, il Tribunale aveva ritenuto insussistente l’elemento psicologico, in considerazione della entità minima dello sforamento (2 km/h), e dell’abbattimento in percentuale previsto dalla legge. Di qui, la verosimiglianza che il conducente fosse transitato dinanzi alla postazione di controllo convinto di non superare il limite segnalato. Peraltro, non poteva neppure escludersi che il tachimetro della sua vettura le avesse indicato una velocità errata, seppur di poco, rispetto a quella reale.
L’argomento non ha convinto nemmeno i giudici della Suprema Corte, i quali pur non discutendo sul rilievo che l’entità dello sforamento era stata minima (limite di 50 km/h, velocità registrata 57 km/h, abbattimento di 5 km/h in applicazione dell’art. 345 D.P.R. n. 495 del 1992), nondimeno tale elemento poteva di per sé integrare la buona fede della conducente, necessaria per superare la presunzione di colpa.

Colpa o buona fede del conducente?

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la responsabilità dell’autore dell’infrazione non è esclusa dal mero stato di ignoranza circa la sussistenza dei relativi presupposti, ma occorre che tale ignoranza sia incolpevole, cioè non superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza.
Per configurare l’esimente della buona fede, che rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa, occorrono elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti altresì che il trasgressore abbia fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso.
Letta in questa prospettiva, che è l’unica conforme al sistema dell’illecito amministrativo, la sentenza impugnata non poteva dirsi conforme alle indicazioni sopra citate, dal momento che non vi erano elementi concreti dai quali desumere ragionevolmente la buona fede del trasgressore, e ciò comporta la violazione dell’art. 3 I. 689 del 1981.

La redazione giuridica

 
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