In caso di negligenza del lavoratore, il licenziamento è sempre legittimo? Ecco cosa ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24561/2017.

Per stabilire se la negligenza del lavoratore giustifica il licenziamento, bisogna controllare se la fattispecie rientri tra quelle previste dal contratto collettivo.
E’ quanto afferma La Corte di Cassazione con la sentenza n. 24561 del 18 ottobre 2017.

La vicenda

La Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale della stessa città, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad un dipendente delle Poste. Di conseguenza, l’azienda era stata condannata a reintegrare il dipendente e al risarcimento del danno subito.
Il lavoratore era stato licenziato perché un giorno, presso l’ufficio postale cui era addetto, era stato rilevato un ammanco di cassa di 8.491,86 euro, “che, sulla base dei riscontri e delle dichiarazioni dello stesso dipendente”, era stato attribuito “ad una possibile sottrazione di una mazzetta di Euro 8.500,00”, che era stata poggiata su di un macchinario.
Di conseguenza, secondo le Poste, il lavoratore avrebbe dovuto essere licenziato a causa della “completa negligenza e mancanza di attenzione verso gli obblighi in materia di custodia del denaro in affidamento”.
A causa della sentenza della Corte di Appello, Poste Italiane è ricorsa in Cassazione.

La sentenza della Cassazione

Secondo le Poste, in particolare, i giudici dei precedenti gradi di giudizio non avrebbero dato corretta applicazione agli art. 2043 e 2118 c.c. Ma la Cassazione ne rigettava il ricorso, in quanto infondato.
Precisava infatti la Cassazione che la Corte d’appello aveva, del tutto adeguatamente e motivatamente, sottolineato che la condotta addebitata al lavoratore era stata quella “di avere reso possibile, per negligenza, che altri si impossessassero del denaro poggiato su un macchinario” e che tale comportamento non rientrava tra le ipotesi di licenziamento previste dal contratto collettivo di lavoro, in quanto lo stesso non era stato caratterizzato da dolo.
Per questo la Suprema Corte rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
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