Se il dipendente pubblico sottoscrive un contratto a chiamata con una società privata, è giusto il suo allontanamento da parte del datore per violazione dell’ obbligo di esclusività

La Corte di Cassazione si è pronunciata lo scorso novembre sulla legittimità del licenziamento di un dipendente pubblico per violazione dell  obbligo di esclusività. Il lavoratore, nello specifico, in costanza di rapporto di lavoro con l’ente pubblico, aveva sottoscritto un contratto a chiamata con una società privata.

L’uomo aveva agito in giudizio per ottenere la dichiarazione di illegittimità del provvedimento e la reintegrazione nel posto di lavoro. Sia in primo grado che in appello, tuttavia,  i giudici avevano rigettato la richiesta, assieme alla conseguente domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti dell’ente datore di lavoro.

La Cassazione ha chiarito che il contratto collettivo di categoria impone al dipendente di “non attendere, durante l’orario di lavoro, a occupazioni estranee al servizio”. Per la Suprema Corte il  lavoratore è tenuto a “rispettare i principi di incompatibilità previsti dalla legge e dai regolamenti”. Nei periodi di assenza per malattia o infortunio, inoltre, non deve svolgere “attività che possano ritardare il recupero psico fisico”.

La normativa cui fanno riferimento gli Ermellini è contenuta nel decreto legislativo n. 165/2001. L’art. 60 del provvedimento vieta esplicitamente al pubblico dipendente di esercitare il commercio o l’industria e di assumere ‘impieghi alle dipendenze di privati’.

La Cassazione ha precisato che il rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni “è caratterizzato dall’obbligo di esclusività”.

L’art. 98 della Costituzione, stabilisce, infatti,  che i pubblici impiegati siano “al servizio esclusivo della Nazione’” e a tutela del principio di imparzialità. Ciò considerato, il ricorso del lavoratore è stato ritenuto infondato. I Giudici del Palazzaccio, con sentenza n. 28797/2017, hanno quindi confermato la decisione della Corte d’Appello.

 

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