Sugli oneri probatori nulla è cambiato dopo la sentenza Scoditti del luglio 2017 oppure la responsabilità medica è divenuta tutta extra-contrattuale? Il nesso di causa tra inadempimento sanitario e danno lamentato (prova a carico del ricorrente) è da considerarsi in astratto? E come?

Oneri probatori in responsabilità medica: ormai sembra uno slogan nelle sentenze di Cassazione e anche di merito: si parla sempre di nuovo filone giurisprudenziale. Ma cosè?
Era un decennio che la responsabilità medica, sugli oneri probatori delle parti, era ben delineata.
E’ subentrata prima la legge Gelli-Bianco nell’aprile 2017 che aboliva il principio del “contatto sociale” tra medico ospedaliero e paziente trasformando il rapporto da contrattuale a extracontrattuale, e poi dal luglio dello stesso anno la sentenza 18392 del Consigliere di Cassazione dott. Scoditti ha “violato” un principio stabile su tale argomento, ovvero che fosse onere della parte attrice dimostrare il contratto, il maggior danno e il nesso di causa tra danno lamentato e inadempimento medico in astratto idoneo a procurare tale danno.
Con la Sua relazione il Consigliere afferma che il nesso di causa tra inadempimento e danno lamentato, in quanto fatto costitutivo della domanda risarcitoria, va dimostrato dal danneggiato prima che il convenuto provi la sua incolpevolezza (fatto estintivo), anche nei termini di eziologia del danno stesso, per cui se dopo adeguata istruttoria la causa eziologica rimane incognita o incerta, la domanda attorea va rigettata.
Una successiva sentenza di Cassazione (luglio 2018), ribadendo tale concetto, precisa che il principio della “vicinanza della prova” non si applica al nesso di causa per cui valgono le disposizioni dell’art. 2697 cc.
In tutte le sentenze di cassazione successive a quella “Scoditti” che affermano tale “nuovo” principio giuridico (il doppio ciclo causale) non si fa più riferimento al concetto “astrattamente idoneo”, ma si parla di una prova sul nesso causale tra inadempimento e danno biologico con la regola del più probabile che non, senza mai riflettere sul concetto pratico della prova delle parti e come si estrinseca e se sia possibile che, quando gli oneri probatori sono identici per tutte le parti, possa escludersi il principio della vicinanza della prova.
Rendiamo semplice tale osservazione!
Facciamo un esempio di una protesizzazione di un’anca. Il paziente prima dell’intervento riusciva a deambulare autonomamente patendo certamente una sofferenza antalgica, ma non usava ausili, ne girello, ne carrozzina.
Dopo l’intervento peggiora il suo stato clinico-funzionale già durante il ricovero e nello stesso ricovero si accerta una lesione dello SPE (nervo sciatico popliteo esterno).
Secondo questo nuovo “filone giurisprudenziale”  il paziente come deve allegare-provare il nesso eziologico tra inesatto inadempimento e peggioramento del proprio stato di salute, “ipotizzando” astrattamente che essendo tale peggioramento legato all’intervento chirurgico esso sia dovuto ad una condotta imperita o negligente del chirurgo, o dovrà affermare come sia stata procurata la lesione dello SPE?
Secondo il “vecchio” principio giurisprudenziale basterebbe ipotizzare la imperizia e/o la negligenza medica nell’espletamento dell’atto chirurgico, secondo il nuovo occorrerebbe dimostrare come è stato procurata la lesione neurologica perchè ciò significa dimostrare l’eziologia del danno biologico!
E se cosi fosse la distribuzione degli oneri probatori, quando il paziente (poveretto!) dimostra anche l’eziologia del danno, cosa rimarrebbe da dimostrare da parte dei convenuti medici o della struttura?
Non dovrebbero discutere e trattare sempre del nesso di causa tra danno lamentato e atto medico?
I convenuti per affermare che il danno non è dovuto ad un errore del chirurgo o, se errore operatorio vi fosse stato, dipenda da un’altra causa estranea all’operato del medico stesso, non stanno discutendo sempre del nesso eziologico del danno biologico?
Allora tali oneri probatori non coincidono?
Evidentemente si! E allora, in siffatte situazioni, ove sussiste identica situazione probatoria non deve prevalere la “ragionevolezza” e, quindi, applicare il principio della “vicinanza della prova” e “scaricare” sul convenuto (che ha maggiore facilità a dimostrare i fatti per l’intrinseca facilità ad accedere ai dati medesimi) l’onere di provare il fatto estintivo del diritto come si faceva fino al 2016 quando la Cassazione addossava la causa ignota al convenuto?
Si ritiene che le sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione debbano risolvere tale discrepanza e redigere delle regole di giudizie su questo e su altri temi caldi della responsabilità medica.

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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