Per gli Ermellini, abbandonare il disabile per portare in vacanza la propria famiglia costituisce un’abusiva fruizione dei permessi ex legge 104.

Con la sentenza numero 18293/2018, la Corte di Cassazione ha fatto il punto in merito ai permessi Legge 104 qualora questi vengano richiesti per andare in vacanza.

Ebbene, per gli Ermellini, il lavoratore che usufruisce dei permessi Legge 104 per l’assistenza di un familiare disabile, non può utilizzarli per le proprie esigenze di vacanza.

Ricordano i giudici, infatti, che la ratio che ispira la facoltà di assentarsi dal lavoro senza perdere la retribuzione e senza intaccare le proprie ferie è quella di garantire una maggiore e assistenza del disabile.

Cosa che deve avvenire anche permettendo al titolare dei permessi di ritagliarsi uno spazio per far fronte alle proprie esigenze personali.

Questo, però, non significa che sia possibile chiedere al datore di lavoro di usufruire di una giornata di permesso ex legge 104 per portare in vacanza la propria famiglia e lasciare a casa l’assistito.

Utilizzando i permessi Legge 104 per tale scopo, infatti, si rischia il licenziamento per giusta causa. E senza la possibilità di poter obiettare nulla al datore di lavoro.

Nel caso di specie, la Corte ha confermato in via definitiva il licenziamento di una lavoratrice. La donna, beneficiando della legge 104 per assistere la madre, si era allontanata dall’abitazione di quest’ultima. Nel farlo, aveva approfittato di una giornata di permesso per recarsi con la propria famiglia in una nota località turistica.

Questa è, nei fatti, un’abusiva fruizione del permesso.

Questo però non significa che il lavoratore debba assistere il disabile durante tutta la giornata di permesso. Né che debba farlo necessariamente in coincidenza con l’orario in cui avrebbe dovuto essere a lavoro.

C’è infatti un’altra pronuncia della Cassazione, la numero 213/2016, con la quale i giudici hanno chiarito tale aspetto.

La necessità che il lavoratore che benefici dei permessi Legge 104 assista il familiare handicappato con continuità e in via esclusiva “va interpretata cum grano salis”.

Pertanto, “non implica un’assistenza continuativa di 24 ore”. Bensì, un’assistenza “che sia prestata con modalità costanti e con quella flessibilità dovuta anche alle esigenze del lavoratore”.

 

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