Una sentenza della Corte di Cassazione fa il punto sul rapporto tra nonni e nipoti fornendo precisazioni sul danno da perdita parentale

Rapporto tra nonni e nipoti: anche questi ultimi, pur se non conviventi, hanno diritto ad essere risarciti per la morte colposa del nonno.
In tal senso si è espressa la Suprema Corte nella sentenza n. 29332 depositata il 7 dicembre 2017.
Cos’è il danno da perdita parentale
Il danno da perdita del rapporto parentale rappresenta la privazione di un valore non economico ma personale, costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, e dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali.
Tale danno coincide con il vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è deceduto e pertanto nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra parenti, nonché nell’alterazione che il decesso di una persona cara inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti, come efficacemente ha affermato la Suprema Corte nella sentenza n. 10107 del 9 maggio 2011.
Il danno da perdita del rapporto parentale si colloca nell’area dell’art. 2059 c.c. nel cui alveo rientrano i danni di natura non patrimoniale. La quantificazione del su detto danno viene effettuata con criterio equitativo che tiene conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione della convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza idonea a comprovare l’intensità del legame con il de cuius.
E se l’intensità del vincolo familiare, può essere considerata un utile elemento presuntivo su cui basare la prova dell’esistenza del menzionato danno morale conseguente alla morte di un prossimo congiunto, in assenza di elementi contrari, l’accertata mancanza di convivenza dei soggetti danneggiati con il de cuius può rappresentare solo un idoneo elemento indiziario da cui desumere un più ridotto danno morale.
I fatti di causa
In conseguenza del decesso del padre, avvenuto a causa di un incidente stradale dopo due giorni dal ricovero, agiscono in giudizio, nei confronti del proprietario e conducente della vettura che aveva investito l’uomo mentre attraversava la strada e della sua compagnia di assicurazioni, la moglie, la figlia convivente, in proprio e in nome e per conto della figlia minore, nonché il figlio, in proprio e in nome e per conto dei figli minori. Entrambi i convenuti si costituiscono in giudizio resistendo alle domande. Il Tribunale di Milano accerta la responsabilità dell’automobilista nella determinazione del sinistro e condanna i convenuti, in solido, a risarcire il danno non patrimoniale in favore della moglie e dei figli della vittima, liquidando al figlio non convivente un importo inferiore a quello riconosciuto alla figlia convivente, nonché in favore della nipote convivente col nonno deceduto, mentre nega il risarcimento ai nipoti non conviventi. La Corte territoriale respinge i ricorsi delle parti, confermando la sentenza di primo grado. A questo punto i parenti del defunto insoddisfatti adiscono la Cassazione.
Il rapporto tra nonni e nipoti non può essere ancorato alla convivenza …
Con uno dei motivi di ricorso, ovvero il secondo, i ricorrenti censurano la Corte d’Appello per aver negato il risarcimento del danno parentale ai nipoti non conviventi con la vittima. Secondo i Giudici di merito il danno parentale subito «da soggetti estranei al ristretto nucleo familiare» è risarcibile solo quando sussista una situazione di convivenza «quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela anche allargate».
Viene sostenuto dai ricorrenti che, in conformità a giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ. n. 15019/2005 e Cass. Pen. n. 29735/2013) e di merito, il rapporto tra nonno e nipote deve essere riconosciuto come “legame presunto che legittima il risarcimento per la perdita familiare”, a prescindere dal rapporto di convivenza.
… e non assurge a connotato minimo di esistenza del rapporto
Gli Ermellini ritengono che il motivo sia fondato, con riferimento al principio secondo cui, “in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno.
Non è infatti condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola c.d. “famiglia nucleare”, e che il rapporto tra nonni e nipoti non può essere ancorato alla convivenza, al fine di essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto” (cfr. Cass. n. 21230/2016), in tali termini dovendosi considerare superato il diverso orientamento richiamato dalla sentenza impugnata.
Da tanto consegue che anche il legame parentale tra nonno e nipote consente di presumere che il secondo subisca un pregiudizio non patrimoniale in conseguenza della morte del primo, in quanto quest’ultimo perde una figura di riferimento, anche nel caso in cui in difetti un rapporto di convivenza.
Naturalmente ai fini della liquidazione del danno sussiste la necessità di considerare l’effettività e la consistenza della relazione parentale.
Gli Ermellini hanno accolto il secondo motivo e dichiarata l’inammissibilità dei restanti e la sentenza è stata cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di merito.
 

Avv. Maria Teresa De Luca

 
 
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