Nel valutare la sussistenza del reato di minacce il giudice deve esaminare compiutamente l’espressione, unitamente al resto delle affermazioni e all’atteggiamento dell’agente

“Non ti dovevi permettere…vedrai”. E’ la frase pronunciata da una donna nei confronti di un avvocato che assisteva una delle parti protagoniste di una vertenza di lavoro. Citata in giudizio, la signora era stata assolta sia in primo che in secondo grado dal reato di minacce.

Per i Giudici del merito, le frasi intimidatrici erano state espresse in forma condizionata e in modo indeterminato nella prospettazione di un male ingiusto.

Gli eredi dell’avvocato, nel frattempo deceduto, aveva quindi presentato ricorso per cassazione.

Gli attori, in particolare, lamentavano erronea, apodittica, contraddittoria motivazione e omessa valutazione di prove decisive, nonché inosservanza di legge ed erronea applicazione dell’art. 612 c.p..

A loro giudizio, le argomentazioni espresse dal Giudice di Pace e richiamate dal Tribunale, sarebbero state avulse dalle risultanze processuali. La minaccia, in particolare,  non si sarebbe ridotta alla sola parola ”vedrai”, ma all’atteggiamento aggressivo, posto in essere dall’imputata all’esito di un’udienza civile.

Gli Ermellini, con la sentenza n. 23592/2018, hanno ritenuto di accogliere l’impugnazione proposta in quanto fondata. Il Giudice a quo aveva ritenuto le frasi pronunciate dall’imputata inidonee a limitare la libertà psichica della parte lesa, palesando una evidente inattitudine ad intimorire. Tale succinta motivazione, secondo la Cassazione, risultava affetta da profili di contraddittorietà logica, oltre che da incompletezza, rispetto ai motivi addotti dai ricorrenti.

La “minaccia”, espressa con le parole “…vedrai…”, non può ritenersi condizionata ad alcunché, se non alla volontà stessa del soggetto che le ha pronunciate. L’assenza di una condizione non sminuisce la valenza intimidatoria dell’espressione che va esaminata compiutamente dal giudice, unitamente al resto delle affermazioni e all’atteggiamento dell’agente.

Nel caso esaminato, il Giudice a quo non aveva dato contezza alle doglianze relative alla riconducibilità del delitto di minaccia al comportamento aggressivo, complessivamente considerato, tenuto dall’imputata, da valutarsi, altresì, alla luce degli effetti, riscontrati sulla vittima. Da qui l’annullamento della sentenza.

 

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1 commento

  1. Ho minacciato verbalmente la mia direttrice. Lei sempre senza un sorriso, un complimento, sempre con un linguaggio violento, aggressivo, cagnesco, sempre la battutta pronta. UN giorno, stanco di tiutto ciò, l’ho minacciata. le ho detto che le avrei rotto la testa puntando l’indice, ma lei sempre cattiva con me.

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