È stata annullata la assoluzione del medico responsabile di una diagnosi errata: il reato è prescritto, ma ora dovrà risarcire famiglia della vittima

La Corte di Cassazione ha deciso: è stata annullata la assoluzione del medico responsabile di una diagnosi errata che, la Corte d’appello di Bari, aveva assolto dall’accusa di omicidio colposo. Il caso in questione risale a dieci anni fa.
Il dott. Vincenzo Memeo, primario della chirurgia generale universitaria del Policlinico di Bari, visitando una paziente aveva scambiato un tumore al pancreas prima per una colica, poi per un’ernia. E quando finalmente un altro medico aveva capito che si trattava di carcinoma al pancreas, purtroppo per la vittima dell’errata diagnosi – un’insegnante barese morta a dicembre 2008 – non c’era più nulla da fare.
A luglio 2016, però, il dott. Memeo era stato assolto dalla Corte d’appello di Bari per omicidio colposo, così come era avvenuto nel processo di primo grado perché, per i giudici “il fatto non sussiste”. Gli stessi avevano motivato la sentenza così: “La tempestività della diagnosi sarebbe stata irrilevante ai fini dell’esito della patologia”.
Un principio che nessuno, tra Procura generale (con il sostituto Emanuele De Maria) e la famiglia della donna (con gli avvocati Raffaele Quarta e Cristian Di Giusto, che ha discusso la causa davanti alla Suprema corte) ha ritenuto accettabile.
Per tale ragione hanno deciso di impugnare la sentenza e la Corte di Cassazione ha dato loro ragione.
La quarta sezione penale ha infatti accolto il loro ricorso, su richiesta conforme del sostituto procuratore generale, Ciro Angelillis: è stata quindi annullata la assoluzione del medico responsabile di diagnosi errata, e senza rinvio. Il reato di omicidio colposo è stato dichiarato prescritto, ma il medico dovrà comunque risarcire gli eredi in sede civile, oltre a farsi carico delle spese legali dei tre gradi di giudizio.
La vittima del clamoroso errore medico si era rivolta a proprio al dottor Memeo in virtù della sua fama, dopo aver consultato altri medici. Dopo aver ottenuto rassicurazioni in merito al suo problema era stata invitata a ripresentarsi per un controllo dopo tre mesi, ma la paziente – non convinta della diagnosi che escludeva il tumore – aveva ottenuto una nuova visita.
Durante la stessa, il dottor Memeo aveva escluso nuovamente il tumore, prescrivendo una colonscopia. Poi è arrivata l’estate e il medico si è reso irreperibile.
Il giudice di primo grado, pur avendo ritenuto inaffidabile la propria consulenza d’ufficio e avendo riconosciuto le colpe di Memeo, aveva comunque escluso il nesso di causalità tra l’imperizia e la morte.
La ragione? “Nessun provvedimento terapeutico avrebbe comportato un rilevante guadagno in termini di sopravvivenza”. Tesi questa, fortemente avversata dalla famiglia e dal tuo consulente tecnico, per il quale una biopsia con ago sottile avrebbe potuto chiarire la diagnosi, e – ancor più importante – che se un tumore al pancreas non supera i due centimetri e mezzo, a cinque anni la sopravvivenza è del 33%.
Questo significa che ad aprile del 2008, quando il tumore non superava un centimetro, una diagnosi corretta e un tempestivo intervento chirurgico avrebbero potuto garantire un altro po’ di vita alla donna. Una tesi, quest’ultima, messa bene in evidenza anche dall’accusa: “Steve Jobs, che ha potuto beneficiare delle migliori cure, ha convissuto con quel tumore per undici anni. La povera signora è vissuta appena tre mesi dopo la diagnosi”.
 
 
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