La limitazione del divieto di restituzione delle cose sequestrate disposto dell’art. 324, comma settimo, c.p.p., va riferito al solo caso di revoca del sequestro preventivo come nel caso in esame? O deve considerarsi esteso anche alle ipotesi di annullamento del decreto di sequestro probatorio?

Con ordinanza del tribunale del riesame di Bologna, era stata annullato il decreto del PM presso il tribunale di Bologna di convalida del sequestro ex art. 354 c.p.p, avente ad oggetto alcuni volatili, materiali e gabbie utilizzate per la detenzione di uccelli. L’indagato era, accusato del reato di maltrattamento e abbandono di animali (di cui all’art. 544 e 727 c.p.). Nel provvedimento di revoca, tuttavia, il tribunale non aveva disposto la restituzione delle cose sequestrate (gli animali).

Cosicché, l’indagato presentava ricorso per Cassazione, deducendo la palese violazione di legge in relazione alla ritenuta applicabilità al caso in esame, dell’art. 324, comma settimo, c.p.p. che proibisce la restituzione di beni sottoposti a confisca, quali sarebbero gli animali maltrattati, in virtù della disposizione speciale di cui all’art. 544 sexies, c.p.p,.

Secondo il ricorrente, il giudice del riesame avrebbe errato, dal momento che il divieto previsto dalla norma processuale citata, non troverebbe applicazione al caso di annullamento del decreto di sequestro probatorio ma sarebbe applicabile al solo caso della revoca del sequestro preventivo.

Chiedeva pertanto, che la questione venisse sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite.

Il ricorso ai giudici della Cassazione

La vicenda è stata sintetizzata dai giudici della Suprema Corte in due punti fondamentali:

a) “se il divieto di restituzione previsto dall’art. 324, comma 7, cod. proc. pen. trovi applicazione solo in caso di revoca del sequestro preventivo ovvero anche in caso di annullamento del decreto di sequestro probatorio”;

b) “se il sequestro probatorio non possa essere revocato, ai sensi dell’art. 324, comma, 7, cod. proc. pen., anche quando insista su cose che, pur essendo diverse da quelle indicate nell’art. 240, comma secondo, cod. pen., sono tuttavia oggetto di ipotesi speciali di confisca obbligatoria”.

La soluzione non è agevole, dal momento che come osservato dal ricorrente, esiste un evidente contrasto giurisprudenziale, sulla applicabilità del disposto dell’art. 324, comma settimo, cod. proc. pen.

Nel caso in esame, il tribunale del riesame nel disporre l’annullamento del decreto di convalida del sequestro del PM per la mancata specificazione delle concrete esigenze probatorie, aveva giustificato la mancata restituzione dei volatili in quanto res suscettibili di confisca obbligatoria ex art, 544 sexies, cod. pen., individuando quindi quale condizione ostativa al dissequestro il disposto dell’art. 324, comma settimo, cod. proc. pen., ritenuto applicabile al caso di specie, in forza del richiamo allo stesso disposto dall’art. 355, comma terzo, c.p.p.

Sul punto si dividono due orientamenti.

Il primo, (di cui è espressione, da ultimo, Sez. 1, n. 58050/2017) secondo cui in caso di annullamento del decreto di sequestro probatorio, il tribunale del riesame deve disporre la restituzione del bene, salvo che il vincolo non debba permanere in ragione di un distinto provvedimento di sequestro conservativo o preventivo, non potendo trovare applicazione la regola espressa dall’art. 324, comma 7, cod. proc. pen. in tema di sequestro preventivo, secondo cui, anche quando sono venute meno le condizioni di applicabilità del provvedimento indicate nell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., può non essere disposta la revoca dell’atto impositivo e la restituzione delle cose soggette a confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240, comma 2, cod. proc. pen.

Il secondo (di cui è invece espressione, da ultimo, Sez. 3, n. 41558/2017) che, invece, ritiene che le cose che soggiacciono a confisca obbligatoria non possono essere in nessun caso restituite all’interessato, anche quando siano state sequestrate dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa e per finalità esclusivamente probatorie; ulteriormente precisando che il sequestro non può essere revocato, ai sensi dell’art. 324, comma, 7, cod. proc. pen., anche quando insista su cose che, pur essendo diverse da quelle indicate nell’art. 240, comma secondo, cod. pen., sono tuttavia oggetto di ipotesi speciali di confisca obbligatoria.

Si tratta di un contrasto attuale e già segnalato dall’Ufficio del Massimario della Cassazione (relazione di contrasto n. 19/2018 del 12/03/2018) – affermano gli Ermellini; ciò rende necessario l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

Il contrasto, infatti, non è soltanto giurisprudenziale, ma coinvolge anche gli studiosi del diritto.

La dottrina

In dottrina prevale l’atteggiamento critico sulla posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità nel senso dell’applicabilità del divieto di restituzione, evidenziandosi la differenza tra la revoca del sequestro preventivo o conservativo e l’annullamento del sequestro probatorio, essendo quest’ultimo, diversamente dai primi, un mezzo di ricerca della prova nella disponibilità del pubblico ministero e, quindi, un atto non giudiziale non suscettibile di revoca.

Tale dottrina quindi, valorizza la tesi secondo cui alla richiesta di riesame del sequestro probatorio l’art. 324 c.p.p. andrebbe applicato solo in quanto compatibile.

Una incompatibilità ad esempio, potrebbe essere individuata, nello specifico, relativamente al comma settimo dell’articolo 324, dal momento che il legislatore, facendo espresso riferimento alla revoca della misura cautelare reale, non consentirebbe di estendere il divieto di restituzione ivi previsto anche ai casi di annullamento del sequestro probatorio, avente finalità esclusivamente probatorie, quindi di agevolazione delle indagini, e non diretto alla prevenzione ex art. 321 c.p.p. ovvero alla conservazione delle garanzie patrimoniali ex art. 316 c.p.p.

In tal senso, deve attribuirsi rilievo all’oggetto del riesame.

Il giudice competente potrà verificare la legittimità del sequestro probatorio solo accertando l’astratta configurabilità del reato ipotizzato. Il controllo verterà, quindi, sulla sussistenza o meno del fumus commisi delicti nonché della relazione di immediatezza e di pertinenza istruttoria dei beni interessati rispetto all’illecito penale, valutando se gli stessi possano essere effettivamente qualificati come “cose pertinenti al reato” ovvero “corpo del reato”.

Una possibile soluzione

In sintesi, il giudice deve concentrare la propria attività di accertamento sui motivi addotti a giustificazione del sequestro probatorio, escluso il sindacato sull’opportunità della determinazione del pubblico ministero. Diversamente da quello che accade per il riesame delle misure cautelari reali, ove il tribunale competente verifica non solo la presenza della necessaria motivazione dei provvedimenti, ma anche la sussistenza dei presupposti giustificanti le restrizioni patrimoniali.

La revoca della misura cautelare reale può, inoltre, essere chiesta anche successivamente al riesame, mentre in ipotesi di sequestro probatorio, ai sensi dell’art. 262 c.p.p., è possibile richiedere la restituzione dei beni qualora non sia più necessario mantenere il sequestro ai fini di prova.

Secondo la dottrina, dunque, osta all’estensione del comma settimo dell’art.324 c.p.p. anche l’impossibilità per il giudice di rilevare d’ufficio, censure di merito riguardanti l’effettiva natura delle cose sottoposte a sequestro istruttorio, ergo anche l’intrinseca pericolosità che ne giustifichi la confisca.

A fronte di un quadro giurisprudenziale così complicato e posto che nessuna soluzione può rinvenirsi nelle teorie della dottrina, al momento ancora divise, la questione va rimessa alle Sezioni Unite.

Avv. Sabrina Caporale

 

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