Dal rifiuto di conciliazione o dal mancato accordo col datore di lavoro decorre il termine di decadenza fissato in sessanta giorni per impugnare il licenziamento, col deposito del ricorso giudiziale

La vicenda

Contro il provvedimento di licenziamento intimatogli dalla società datrice di lavoro, il dipendente di questa aveva proposto ricorso dinanzi al giudice del lavoro.
Ma in primo grado, l’adito tribunale aveva rigettato la sua istanza ritenendo che fosse intervenuta la decadenza ai sensi L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, per non aver depositato il ricorso giudiziale entro il termine di 60 giorni dal rifiuto dell’azienda della richiesta di tentativo di conciliazione.
Ed invero, l’azienda aveva comunicato al lavoratore la mancata adesione alla procedura conciliativa in data 29.10.2015, mentre il deposito del ricorso in cancelleria era avvenuto soltanto il 6.2.2016.

Cosicché la vicenda è giunta in Cassazione.

A detta del lavoratore licenziato “il mancato deposito, da parte del datore di lavoro, della memoria contenente le proprie difese nel termine di giorni 20, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., comma 7, non integrerebbe un “rifiuto” idoneo a far decorrere il termine di decadenza di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2; la mancata previsione di un obbligo di comunicazione al lavoratore della chiusura del procedimento determinerebbe una situazione di incertezza per il lavoratore, tanto più in presenza di una decadenza “speciale” (di 60 giorni) rispetto a quella generale di 180 giorni, prevista dal medesimo comma 2 dell’art. 6”.
Ci si domanda allora, qual è il termine di decadenza per impugnare se il datore di lavoro non aderisce alla richiesta di tentativo di conciliazione?
La L. n. 604 del 1966, art. 6, nel testo ratione temporis vigente, come sostituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1, stabilisce che: “1. Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta (…) 2. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato (…). Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo”.
In altre parole, il lavoratore può scegliere, alternativamente, per impedire l’inefficacia dell’impugnazione stragiudiziale (id est: quella del comma 1 dell’art. 6 cit.) sia la strada del ricorso giudiziale sia quella della comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato, sempre nel termine di 180 giorni (cfr. Cass. n. 17253 del 2016, secondo cui la comunicazione della richiesta alla controparte può realizzare il suo effetto anche se inviata a mezzo fax).
In caso di richiesta del tentativo di conciliazione, opera l’art. 410 c.p.c., comma 5 e ss., in base al quale copia della richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dal lavoratore, deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno, a cura della stessa parte istante, alla controparte.
Se il datore di lavoro intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale.

Ove ciò non avvenga, la richiesta si intende rifiutata dal datore di lavoro e ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria.

In caso, invece, di accettazione della procedura, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, da tenersi entro i successivi trenta giorni.
Esiste infine un’altra ipotesi: quella in cui la procedura richiesta sia accettata dalla controparte ed effettivamente espletata ma si concluda con un esito negativo. Al riguardo, la Cassazione (n. 14108 del 2018) ha già chiarito che in tal caso, non opera il termine di sessanta giorni previsto testualmente dall’ultima parte della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, solo “qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento”; ma resta invece “efficace l’originario termine di 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale del licenziamento”, precisandosi tuttavia che esso, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., comma 2, è sospeso “per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi”.

La decisione

La vicenda in esame, risultava invece, pacificamente regolata dall’ultima parte della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2 che disciplina il caso in cui l’esito negativo del componimento stragiudiziale sia determinato dall’immediato rifiuto della controparte di intraprendere la procedura conciliativa; in tale caso (cui, per espressa previsione legale, va equiparato quello del mancato accordo all’espletamento della procedura conciliativa), secondo l’orientamento giurisprudenziale più accreditato (Cass. n. 27948 del 2018), dal ” rifiuto o dal mancato accordo” decorre il termine di decadenza fissato in sessanta giorni, senza che possa invocarsi l’ulteriore termine sospensivo di 20 giorni previsto dall’art. 410 c.p.c., comma 2, e senza che “il rifiuto di aderire alla conciliazione debba essere comunicato alla Direzione Territoriale del Lavoro” ovvero alla controparte (id est: al lavoratore).
Ebbene, la sentenza impugnata era perfettamente in linea con i principi di diritto poc’anzi enunciati, perciò è stata confermata e respinto il ricorso del lavoratore licenziato.

La redazione giuridica

 
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