Si rifiuta di lavorare presso l’azienda del padre, ma egli è comunque obbligato a mantenerla. Lo ha deciso il Tribunale ordinario di Roma in una sentenza avente ad oggetto la determinazione degli obblighi di mantenimento dei propri figli

In realtà non si trattava di un semplice capriccio; sotto tale rifiuto vi era, infatti, una complessa situazione di conflittualità col padre.

La vicenda

Dopo la separazione intervenuta tra due coniugi, seguiva la causa per il divorzio dinanzi al Tribunale ordinario di Roma.

Considerato che tutti e tre i figli della coppia erano ormai maggiorenni, occorreva solo determinare le condizioni inerenti il loro mantenimento e non anche quelle relative al loro affidamento.

Tutti e tre i figli erano economicamente non autosufficienti e questa era una circostanza non contraddetta da entrambi i coniugi.

Ma il padre si opponeva al mantenimento della figlia ventenne, la quale a suo avviso sarebbe stata colpevolmente non indipendente, avendo da tempo abbandonato gli studi senza impegnarsi in alcuna attività lavorativa. Nella specie, egli lamentava che la stessa si fosse rifiutata di lavorare alle sue dipendenze.

Ma secondo il Tribunale adito, il genitore non era riuscito sufficientemente a provare la colpevole inerzia della figlia. Ed è noto, infatti, che grava sul ricorrente l’onere di provare tale circostanza.

In particolare, la prova è tanto più rigorosa quanto più bassa è l’età del figlio maggiorenne, potendo a tale età presumersi la mancata autosufficienza del figlio maggiorenne e spettando sempre al genitore la dimostrazione di essersi adoperato per il raggiungimento di essa, conformemente alle attitudini ed aspirazioni del figlio, laddove questo si sia dimostrato inerte nel percorso di studi o nel reperimento di attività lavorativa.

Ebbene, la sola circostanza che la figlia ventenne avesse rifiutato di lavorare nell’attività del padre non era prova sufficientemente valida “sussistendo in tale caso implicazioni diverse da quelle relative ad un qualunque rapporto di lavoro e venendo in rilievo una conflittualità di fondo tra padre e figlia che non poteva incidere in termini di valutazione di autonomia economica”.

Ed infatti, nel corso del processo di merito era emerso che la giovane avesse tentato di intraprendere la citata attività lavorativa, ma senza esito positivo, stante la conflittualità esistente con il genitore.

Dunque, all’esito del processo, tutti i figli sono stati riconosciuti incolpevolmente non economicamente indipendenti, con conseguente necessità di procedere alla determinazione delle entità per il loro mantenimento.

La redazione giuridica

 

Leggi anche:

FIGLIA MAGGIORENNE RIFIUTA DI VEDERE IL PADRE, MA IL MANTENIMENTO NON SI TOCCA

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui