È sì alla step child adoption: il figlio biologico del proprio compagno può essere adottato dal partner dello stesso sesso.

Il riconoscimento delle unioni civili come nucleo familiare a tutti gli effetti ha posto le basi per un sì alla step child adoption. Questo per consentire al minore il riconoscimento del rapporto genitoriale, nato all’interno del nucleo familiare, seppure il partner del genitore sia del suo tesso sesso.
La decisione arriva dal Tribunale per i Minorenni di Bologna, nella sentenza n. 116/2017, che ha valutato il caso di una donna che ha chiesto l’adozione della figlia della propria compagna. Le due donne si erano unite civilmente in matrimonio.

Il caso

La coppia, prima di avere la bimba che, di fatto, aveva iniziato un percorso di introduzione alla genitorialità. Tanto che la partner della madre ha fatto ricorso ex art. 44, lett d), legge 184/1983, per adottare la piccola.
Nella sentenza i giudici hanno voluto precisare che i controlli effettuati dai Servizi Sociali hanno avuto un esito positivo. Di fatto, è emerso un solido rapporto affettivo della bimba, con la sua “seconda mamma”.
Inoltre, le valutazioni fatte dai Servizi Sociali sulla famiglia, in generale e sulla coppia, sono state egregie. È, infatti, emerso un forte legame affettivo della bimba con ambedue le donne, e la relazione della coppia ha dimostrato solidità affettiva, costanza nel tempo e comunione di obiettivi.
Il quadro generale è quello di una famiglia a tutti gli effetti, in cui le madri hanno svolto il loro ruolo con dedizione, ed hanno provveduto alla piccola, al suo mantenimento, alla sua educazione e ad ogni altra sua esigenza.

Le unioni civili intese come famiglia

Per i giudici, secondo quanto disposto dall’art. 44, lett d), della legge 184/1983, infatti, la richiesta di adozione merita accoglimento. La legge, infatti, prevede che, anche nell’ipotesi di minore concepito e cresciuto nell’ambito di una coppia di fatto, sussista il diritto a essere adottato dalla madre non biologica.
Una conclusione confermata dalla giurisprudenza, richiamata in sentenza, quella del Trib. Minorenni Roma sent. 30 luglio 2014, 22 ottobre 2015 e 23 dicembre 2015, anche nell’appello, in virtù del forte legame genitoriale del minore, con la partner della madre.

Il riconoscimento della biogenitorialità

L’accoglimento della biogenitorialità va concesso, tuttavia, solo dopo aver effettuato degli accertamenti psicosociali. Un principio convalidato anche dalla Cassazione, con la sent. 12962/2016, e confermato, secondo il Tribunale di Bologna, anche dalla legge n. 76/2016.
Di fatto, queste sentenze, riconoscono i nuclei familiari composti da persone dello stesso sesso come famiglia, laddove vi siano forti vincoli affettivi. Così si apre all’adozione in casi particolari, in cui c’è un substrato relazionale solido, sicuro, giuridicamente tutelato.
La clausola di salvaguardia di cui all’art. 1, comma 20, legge n. 76/2016, ammette, quindi, l’ipotesi di adozione in casi particolari, e riconosce la possibilità di ricorrere ad adozione in un altro caso. Quando vi sia impossibilità giuridica di affidamento preadottivo. Ciò perché il minore non si ritrovi, eventualmente, in stato di abbandono, avendo un altro genitore che possa prendersene cura.

La sentenza

Resta fermo restando il legame genitoriale come motivo primario che apre al sì alla step child adoption. A parere dei giudici, quindi, la legge è orientata ad un’apertura verso l’adozione, anche per il partner dello stesso sesso.
Per i giudici “va rimarcato che la relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita, costituisce a tutti gli effetti una famiglia, luogo in cui è possibile la crescita di un minore senza che il mero fattore omoaffettività possa costituire ostacolo formale”.
 
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