La Cassazione fa chiarezza sul reato di sottrazione di minore. In particolare, nel caso in cui la madre porti via i figli in affido condiviso.

Con la sentenza n. 51960/2018, la Cassazione ha fatto il punto sul reato di sottrazione di minore.

Secondo gli Ermellini, infatti, va condannata la madre che si trasferisce in un’altra città portando via con sé i figli, in affido condiviso con il padre, lasciando in locazione a terzi la ex casa familiare che le era stata assegnata dal giudice.

Non rileva per far venire meno il reato di sottrazione di minore la circostanza secondo cui i bambini siano riusciti a trascorrere con il padre alcuni giorni durante le vacanze estive.

Infatti, il breve intervallo di tempo non segna una soluzione di continuità nella condotta dalla madre. Una condotta che ha natura permanente.

La vicenda

Nel caso di specie, la Cassazione ha respinto il ricorso di una donna. Questa è stata condannata a 9 mesi di reclusione per sottrazione di minore e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, ex artt. 574 e 388, primo e secondo comma, del c.p.. L’imputata aveva ceduto in locazione alla sorella la ex casa coniugale.

L’abitazione le era stata assegnata dal giudice affinché vi abitasse con i figli, in affido condiviso con l’ex. La donna però si era trasferita insieme ai bambini in luogo imprecisato senza comunicarlo al padre.

Gli Ermellini rammentano che la condotta di uno dei genitori integra il reato di cui all’art. 574 c.p. laddove, contro la volontà dell’altro, egli sottragga il figlio per un periodo di tempo rilevante, impedendo l’altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall’ambiente di abituale dimora.

Non solo.

Il reato di sottrazione di minore viene integrato laddove si realizzi il travalicamento della linea di demarcazione tra una normale manifestazione dell’esercizio della propria potestà e il comportamento diretto a contrastare l’esercizio dell’altro genitore di condizioni potestative.

Condizioni dettate non nell’interesse esclusivo del loro titolare, ma anche al soddisfacimento di quello della persona incapace.

Infine, la sottrazione di minore di cui all’art. 574 c.p. si perfeziona laddove si realizzi la protrazione della situazione antigiuridica attraverso una condotta attiva diretta a mantenere il controllo sul minore. Oltre, naturalmente, alla possibilità per il reo di porre fine alla situazione antigiuridica fino a quando la cessazione di tale situazione non intervenga per sopravvenuta impossibilità o per pronunzia della sentenza di primo grado.

In base a tali principi, la Corte d’Appello ha devalutato tutte le circostanze di fatto dedotte dalla difesa.

Infatti, i giudici di merito hanno ritenuto attendibile la testimonianza del padre del minori e formato il proprio convincimento sul suo racconto, in base al quale non vi erano stati neppure contatti telefonici con i figli, diversamente da quanto sosteneva la madre.

Inoltre, per gli Ermellini il perfezionamento del reato di sottrazione di minore non è escluso neppure dalla circostanza che il padre fosse riuscito ad avere contatti con i figli durante l’estate del 2009 e del 2010 trascorrendovi insieme le vacanze.

Tale situazione, infatti, appare inidonea a interrompere la condotta permanente contestata.

Ciò in quanto in quanto, dopo l’agosto del 2010, il padre non era più riuscito a vedere per volontà della moglie.

Il breve intervallo, dunque, non è soluzione di continuità nella condotta perché dopo agosto l’uomo non vede più i figli.

Il reato di cui all’art. 388 c.p., invece, è contestato alla donna per aver lasciato alla sorella l’ex casa familiare assegnata dal giudice. Si tratta di una fattispecie che, laddove contempla l’elusione del provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento dei minori o di altri incapaci, è integrata dal semplice dolo generico.

Quanto al rilievo penale della condotta è invece escluso nel caso in cui ricorra un plausibile motivo che abbia determinato l’azione del genitore affidatario a tutela esclusiva dell’interesse del minore.

Nel caso di specie il bene, già casa familiare, era stato assegnato all’imputata. Ciò in quanto era affidataria dei minori con conseguente consapevolezza della prima, di aver violato il provvedimento giudiziale adottato in sede di separazione tra coniugi e a tutela della posizione dei minori.

In conclusione, le sorti connesse all’uso dell’immobile e legate all’assegnazione del bene in applicazione della normativa sugli alloggi residenziali pubblici non valgono a escludere la conoscenza delle vicende di stretta derivazione dal giudizio di separazione personale.

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