Il reato si configura qualora un soggetto ponga in essere reiteratamente una serie di condotte tali da provocare un “perdurante stato d’ansia o di paura” nella vittima

Disturbava continuamente il vicino di casa, staccandogli ripetutamente la corrente elettrica e arrivando perfino a investirlo con l’automobile. Condannato in primo grado e in appello per atti persecutori, l’uomo ha fatto ricorso per Cassazione evidenziando come i fatti contestati non avessero alcuna rilevanza penale; a suo avviso, infatti, tali comportamenti potevano sfociare unicamente in una controversia di natura civilistica relativa alla proprietà di una servitù di passaggio.

Il ricorrente, inoltre,  sosteneva di essere stato “calunniato”. L’accusa rivoltagli di avere investito il vicino con la propria auto non corrispondeva a realtà; al contrario, sarebbe stato lo stesso vicino, secondo l’imputato, a gettarsi appositamente a terra sostenendo di essere stato deliberatamente colpito dallo specchietto retrovisore della vettura.

La Corte di Cassazione, tuttavia, con la sentenza n. 43083 del 12 ottobre 2016, ha rigettato il ricorso in quanto infondato, ritenendo di non aderire alle argomentazioni proposte dal ricorrente. Secondo gli Ermellini, in particolare, i fatti contestati al soggetto condannato  rientravano a pieno titolo tra le fattispecie previste dall’articolo n. 612 bis del codice penale, relativo agli ‘atti persecutori’. La norma, infatti, prevede che il reato si configura qualora un soggetto ponga in essere reiteratamente una serie di condotte tali da provocare un “perdurante stato d’ansia o di paura” nella vittima.

Per la Suprema Corte, le singole condotte, in sé considerate, possono essere anche prive di rilevanza penale, purchè sussista un nesso di causalità tra le medesime e lo “stato d’ansia o di paura” patito dall’interessato.

Eventuali ulteriori scopi ulteriori perseguiti dall’autore, quali (la pretesa del diritto riguardante la servitù di passaggio, “riguardano il movente della condotta ma non il dolo generico del reato di cui all’art. 612 bis del c.p.”, da individuarsi nella consapevolezza e volontà dell’agente di alterare l’equilibrio psichico della vittima.

Per quanto concerne l’accusa di calunnia rivolta dal ricorrente al vicino i giudici di Piazza Cavour no hanno considerato ammissibile il ricorso in quanto la ricostruzione dei fatti operata dal giudice d’appello riguarda il merito della controversia e non può quindi essere contestata in sede di giudizio di Cassazione, dove è possibile lamentare solamente errori “di diritto”, consistenti nell’erronea applicazione di una norma di legge.

 

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