La Corte di Cassazione fa il punto in merito allo stalking virtuale, e sui rischi per l’ex marito che invii costanti messaggi alla ex consorte minacciandola

Con la sentenza 21693/2018, la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, ha fatto il punto in merito allo stalking virtuale da parte dell’ex marito nei confronti della ex consorte.

Per gli Ermellini, è corretta la misura cautelare dell’allontanamento verso l’ex indagato per stalking virtuale, ovvero quello che si esplica attraverso l’uso di messaggi minacciosi e insistenti.

Secondo i giudici, infatti, è del tutto ininfluente, sotto il profilo degli indizi ex art. 273 c.p.p., il fatto che le minacce siano rimaste puramente “virtuali” senza mai concretizzarsi in reati ulteriori.

La vicenda

Nel caso di specie, è stata decisa dal Gip l’applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento nei confronti di un ex marito, indagato per stalking nei confronti della moglie.

Il provvedimento è stato disposto per via dei minacciosi e insistenti messaggi inviati alla donna sul cellulare e sui social.

Il tutto è divenuto ancora più pesante in seguito alla separazione e la scoperta della nuova relazione di lei con un altro.

Una situazione che nella donna aveva provocato paura e ansia.

L’imputato ha impugnato il provvedimento rilevando come le minacce a lui ascritte non si fossero mai concretizzate.

Inoltre, sosteneva che il tutto fosse avvenuto solo una volta, a un anno e sette mesi prima dall’adozione della misura cautelare. Infine, ha aggiunto che, prima della separazione, non vi era stato alcun comportamento negativo da parte sua.

Per gli Ermellini, tuttavia, il ricorso è inammissibile.

Infatti, sulla scorta dei dati indiziari della persona offesa, la Corte ha ripercorso i fatti salienti oggetto dell’imputazione provvisoria – vale a dire i numerosi messaggi minacciosi che hanno costituito lo stalking virtuale da parte dell’imputato – nel periodo indicato in querela (dal gennaio 2016 all’aprile 2017) e nelle successive dichiarazioni.

Nello specifico, il giudice del riesame aveva sottolineato due messaggi minacciosi. Il primo dei quali prospettava “un macello” se l’indagato si fosse accorto che il figlio si trovava insieme con la persona offesa e con nuovo compagno della ex.

Il secondo si riferiva al dar fuoco ad un lettino, evidenziando come le condotte avessero causato nella stessa persona offesa un evidente stato di timore.

Per i giudici appare dunque infondata la deduzione che le minacce non si siano “concretizzate”.

Il riferimento all’epoca delle minacce stesse può venire in rilievo sul piano del presupposto cautelare, ma non inficia la tenuta del provvedimento impugnato sotto il profilo degli indizi ex art. 273 del codice di procedura penale.

Il Tribunale del riesame, infatti, ha argomentato in merito all’aggravamento della condotta persecutoria successivamente alla separazione e alla conoscenza della relazione allacciata dalla persona offesa.

Ancora, per quanto concerne lo stato d’ansia della ex moglie, l’ordinanza impugnata lo ha dedotto dalla natura dei comportamenti tenuti dall ex marito.

Questo qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante.

Risultano infine infondate anche le censure relative al presupposto cautelare. Ciò in quanto l’ordinanza impugnata ha dato conto dell’attualità del periculum, sulla base della reiterazione degli atti persecutori. Il ricorso va dunque rigettato.

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