Una sentenza della Corte d’appello di Potenza ha fornito precisazioni in tema di risarcimenti ministeriali per trasfusioni infette

Se a seguito di trasfusioni infette si contrae una malattia, il Ministero della salute è tenuto a risarcire i danni?
La Corte d’appello di Potenza si è espressa in merito con la sentenza n. 245 del 16 maggio 2017.

Con tale pronuncia, la Corte ha precisato che, in caso di contrazione di malattia per trasfusioni infette, il Ministero della Salute è tenuto a risarcire i danni, ma che tale diritto risarcitorio si prescrive nel termine di cinque anni.

Nel caso di specie esaminato dalla Corte d’appello, genitori e figlio avevano agito in giudizio nei confronti del Ministero della Salute.
La richiesta era di accertare e dichiarare la responsabilità dello stesso nel contagio da epatite cronica, contratta dal figlio a seguito di un trattamento di trasfusione eseguito presso l’Ospedale di Matera.
L’obiettivo era condannare il Ministero al risarcimento dei danni per le trasfusioni infette.
La famiglia ha evidenziato che il soggetto in questione, pochi giorni dopo la nascita , aveva subito trasfusioni di sangue e, dopo circa dieci anni, gli era stata diagnosticata una forma di epatite.
La causa della malattia era quindi da imputarsi alle trasfusioni infette.
Il Ministero della salute si era costituito in giudizio, eccependo che il diritto al risarcimento chiesto dagli attori si era ormai prescritto.
Inoltre, il Ministero ha precisato che la domanda non avrebbe comunque potuto essere accolta.
La condotta illecita, infatti era imputabile esclusivamente all’ospedale responsabile delle trasfusioni.
Il Tribunale di Potenza, pronunciatosi nel primo grado di giudizio, aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dagli attori.

Per i giudici, il diritto al risarcimento doveva considerarsi prescritto.

Ciò in quanto erano trascorsi più di cinque anni dalla piena conoscenza della malattia contratta a seguito della trasfusione.
Ritenendo la decisione ingiusta, gli interessati avevano impugnato la sentenza di primo grado.
Per la famiglia, il diritto al risarcimento dei danni doveva applicarsi con l’ordinario termine di prescrizione decennale laddove la condotta illecita posta alla base del risarcimento costituisca reato.
E, per la famiglia, nel caso di specie era stato commesso il reato di “epidemia”, del quale il Ministero avrebbe dovuto essere chiamato a rispondere.
Un fatto questo, provato dallo ‘scandalo del sangue infetto’, di cui si erano occupati tutti i media nazionali.

La Corte d’appello, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione agli appellanti, rigettando la relativa impugnazione, in quanto infondata.

Per i giudici, la Corte di Cassazione, nel 1998, aveva precisato che la responsabilità del Ministero della Salute per i danni conseguenti ad infezioni da epatite “contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale”.
Per questo, non sono “ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime)”, con la conseguenza che “il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale” (Cass. civ., Sez. Unite, sentt. nn. 576/98; 579-580-581-583 e 584/98).
La Corte d’appello ha aggiunto che nel caso di specie doveva escludersi il reato di “epidemia colposa”, che presuppone “la volontaria diffusione di germi patogeni, sia pure per negligenza, imprudenza o imperizia, con conseguente incontrollabilità dell’eventuale patologia in un dato territorio e su un numero indeterminabile di soggetti”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte d’appello ha rigettato l’impugnazione proposta dagli appellanti, confermando integralmente la sentenza di primo grado e condannandoli al pagamento delle spese processuali.
 
 
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