La corte di appello di Lecce aveva condannato un ufficiale giudiziario alla pena di legge prevista per il reato di falso materiale in atto pubblico di fede privilegiata

L’addebito mosso dalla Procura della Repubblica ed avallato dai giudici di merito era che l’imputato, in veste di ufficiale giudiziario delegato per le notifiche presso un tribunale pugliese, aveva contraffatto la relata di notifica alla parte soccombente apposta all’originale di una sentenza civile, nella parte concernente la data, cancellando quella errata ed apponendovi quella in cui effettivamente era stato dato corso alla notifica.
Sulla vicenda si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 21748/2019.
Con un primo motivo, la difensa lamentava la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata poiché al momento in cui si era verificato il fatto (la correzione sulla relata di notifica),il procedimento di notifica era ancora in corso. Si trattava dunque, della correzione di un errore materiale di un atto la cui formazione era ancora in itinere, il che non configurava certo l’ipotesi di reato di falso per alterazione.
Peraltro, anche il Procuratore generale distrettuale aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato per carenza dell’elemento psicologico.

Ebbene il ricorso è stato accolto nei seguenti termini.

La giurisprudenza di legittimità, ha da tempo sancito il principio per cui il dolo dei delitti di falso è generico ma che esso non può tuttavia essere considerato in re ipsa, in quanto deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo.
Senza dubbio, l’imputato, una volta resosi conto di non avere ancora notificato la sentenza alla parte soccombente ed eseguita successivamente, aveva corretto la relata sull’originale dell’atto presente in ufficio.
Detta correzione era stata operata in maniera incontestabilmente evidente, ed invero, dall’osservazione dell’atto, poteva evincersi che la correzione era stata eseguita mediante sovrascrittura della nuova data e che detta sovrascrittura era stata effettuata con inchiostro di colore diverso.

Tuttavia, a detta degli Ermellini, la motivazione impugnata risultava carente sul piano dell’elemento soggettivo.

La Corte di merito, infatti, partendo dalla constatazione del perfezionarsi del delitto di falso, si era limitata a richiamare la natura generica del dolo della fattispecie, senza tuttavia interrogarsi sulle motivazioni, consistenti nella mera finalità correttiva, che avevano in concreto animato l’operato dell’ufficiale giudiziario.
«La circostanza che l’imputato non avesse osservato l’iter – che non si comprende, peraltro, se segnato da un riferimento normativo o frutto di una prassi – che doveva essere seguito nel caso si presentasse la necessità della correzione non è elemento che milita per la sussistenza certa del dolo, a fortiori laddove ci si trovava al cospetto di un’operazione di rettificazione di un errore tesa a ristabilire la verità dei fatti, oltretutto posta in essere attraverso un intervento graficamente maldestro e, di conseguenza, particolarmente evidente».
Per tali motivi, il ricorso è stato accolto e cassata con rinvio la decisione impugnata alla corte d’appello che “dovrà fornire nuova motivazione sul punto, avendo cura di interrogarsi sulla condotta complessiva dell’imputato e sulle implicazioni in termini di coefficiente soggettivo delle finalità dell’azione e delle modalità con cui essa è stata posta in essere”.

La redazione giuridica

 
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