Una sentenza della Cassazione ha fornito precisazioni sulla condotta extralavorativa scorretta e sui rischi che comporta per il lavoratore

Può un lavoratore essere licenziato per una condotta extralavorativa scorretta?
Secondo la Cassazione, che si espressa in merito con la sentenza n. 13197 del 25 maggio 2017, anche una condotta illegale posta in essere al di fuori dell’ambito lavorativo può giustificare il licenziamento, a condizione che tale comportamento abbia leso irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro nel futuro esatto adempimento del lavoratore.
Nel caso di specie esaminato dai giudici, la Corte d’appello di Roma aveva confermato la sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Velletri aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento proposta da un lavoratore.
Nello specifico, i giudici hanno esaminato il caso di un dipendente, operaio specializzato Enel, licenziato perché, presso una piazzola di sua proprietà adibita a parcheggio e vicina alla propria abitazione, si era allacciato abusivamente alla rete elettrica per l’illuminazione di un gazebo che era stato installato nella piazzola stessa.
In primo grado, aveva ritenuto legittimo il licenziamento, in quanto il dipendente, oltre ad essere proprietario della piazzola, era un “quotidiano fruitore della zona adibita a parcheggio” e, dunque, “usufruiva anche dell’illuminazione ottenuta con quelle modalità”.
La decisione era stata poi anche confermata dalla Corte d’Appello, in quanto era stato dimostrato l’utilizzo abusivo dell’energia elettrica da parte del lavoratore e il licenziamento doveva considerarsi una sanzione proporzionata alla gravità dei fatti.
Il lavoratore, infatti, che svolgeva le mansioni di operaio specializzato con il compito di “impedire manomissioni e/o alterazioni degli impianti elettrici anche mediante apposite segnalazioni, aveva usufruito egli stesso di un allaccio abusivo, asserendo per di più di non essersi mai accorto di tale manomissione e/o di non esserne a conoscenza”.
Ebbene, tale condotta extralavorativa scorretta aveva dunque pregiudicato la fiducia della società datrice di lavoro circa la futura correttezza del dipendente nello svolgimento delle sue mansioni, rendendo quindi più che legittimo il licenziamento.
Il lavoratore, ritenendo ingiusto il licenziamento, si è rivolto in Cassazione per annullare la sentenza, sostenendo che la Corte d’appello non avrebbe dato corretta applicazione all’art. 5 della legge n. 604 del 1966, in quanto non era stato provato che egli si fosse appropriato illecitamente dell’energia elettrica.
Secondo il ricorrente, i giudici avevano provato la legittimità del licenziamento sul solo “rilievo dell’esistenza di un allaccio abusivo, valorizzato alla luce della considerazione che il M. non poteva non accorgersi della anomalia, avendo competenza tecnica nel settore”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto infondato il ricorso, rigettandolo.
Per i giudici di Cassazione infatti, la Corte d’appello aveva del tutto correttamente ritenuto che il lavoratore fosse consapevole dell’esistenza dell’allacciamento abusivo, sulla base del fatto che, per almeno cinque anni, egli si era recato nella piazzola usufruendo dell’illuminazione che era stata ottenuta mediante un allacciamento alla corrente elettrica perfettamente visibile.
Ne consegue che fosse “inverosimile” che il lavoratore non si fosse accorto della manomissione presente nell’area di sua proprietà e che, allo stesso tempo, egli non fosse a conoscenza della fruizione indebita dell’energia elettrica.
Non solo. Tale condotta extralavorativa scorretta, secondo la Cassazione, era stata correttamente considerata dalla Corte d’appello come lesiva del rapporto di fiducia del lavoratore con la compagnia datrice di lavoro, “in quanto il ricorrente svolgeva proprio mansioni di operaio specializzato appartenente a squadre che seguono sul territorio interventi di manutenzione e ripristino degli impianti elettrici, anche sulle cabine”.
Infine, in tema di licenziamento per giusta causa, è bene ricordare che l’irreversibile lesione del rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore può ritenersi provata anche quando il datore di lavoro contesta al lavoratore una condotta extralavorativa scorretta che abbia avuto riflessi sulla funzionalità del rapporto di lavoro, “compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività, perché di gravità tale, per contrarietà alle norme dell’etica e del vivere comuni, da connotare la figura morale del lavoratore”.
Per tali ragioni, la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal lavoratore, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.
 
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